E’ arrivata in mattinata via fax la comunicazione aziendale sull’inizio delle procedure per l’apertura della mobilità per gli 68 dipendenti dello stabilimento pisano della fabbrica di lavorazioni del rame Carlo Colombo. Agli impianti di Ospedaletto da mesi nessun dirigente aziendale si fa vedere più, tutti sono stati trasferiti alla sede principale, quella di Pizzighettone, in provincia di Cremona. Il 30 aprile è scaduto l’ennesimo contratto di solidarietà all’80% della busta paga. La crisi di produttività, con il crollo del costo del rame, aveva imposto questa misura dal 2010. Erano ormai cinque anni che dunque si sapeva della situazione di crisi.
La soluzione padronale è una: chiusura dell’unità produttiva di Pisa e licenziamento collettivo per poter ristrutturare il debito con i creditori. Nell’industria del rame infatti il flusso del credito dev’essere sempre sostenuto per poter acquistare la materia prima da mandare in lavorazione. Un precedente piano industriale venne elaborato nel 2014 dai nuovi azionisti della società: la Glencore, la multinazionale anglo-svizzera dell’industria estrattiva entrata nella società dopo aver partecipato al precedente percorso di crisi acquisendo la maggioranza delle azioni, e da un gruppo di 16 banche, che rilevò la minoranza. La Glencore, leader mondiale nell’estrazione del rame, versa in cattive acque da tempo: diverse miniere in Congo e in Zambia sono state chiuse con migliaia di licenziamenti nell’ultimo anno. Il prezzo del rame, complice anche la caduta della domanda cinese, è il più basso dagli ultimi sei anni.
Tra le banche nella cordata di risanamento anche la Monte dei Paschi e Banca Etruria. Proprio questi istituti si sono opposti al piano di risanamento: senza nessuna garanzia sulla produzione, per il crollo dei costi, la banche si preoccupano di rientrare in possesso dei crediti, anche se il buco in bilancio ammonta a 200 milioni. Queste banche, salvate dall’intervento statale, e presso le quali anche decine e decine di operai hanno stipulato mutui e chiesto prestiti, ora si trovano a decidere del futuro dello stabilimento di Pisa. Nel frattempo gli operai restano nello stabilimento, timbrano in orario di lavoro presidiando la fabbrica onde evitare anche il sequestro delle macchine da parte del padrone.