Le promesse vanno mantenute. E’ più facile farlo quando nascono dal desiderio di stare assieme per essere contro, per cambiare. Ma non tutti sanno mantenere le promesse. Per fortuna, forse; delle farse di alcuni ne faremmo volentieri a meno. Di quelle di chi governa, ad esempio. Questa politica infatti è bugiarda: racconta di conciliazione ma organizza la guerra contro di noi. Renzi non è venuto a Pisa il 29 aprile, come aveva promesso; chi si era dato appuntamento per contestarlo, per emergere, per prendere parola si è invece ritrovato in piazza davanti al CNR, come aveva promesso. In più di duemila hanno raggiunto il Centro, teatro delle celebrazioni per il trentennale della prima connessione a internet in Italia. Qui Renzi avrebbe voluto siglare un patto per la banda larga in Italia: connessioni a internet super veloci per un mondo sempre interconnesso. Peccato che l’unica banda larga presente al CNR fosse quella dei cordoni di polizia, schierati a difesa del centro per non far avanzare e prendere parola una manifestazione che ha riunito quella parte di città non compresa nel racconto conciliatorio renziano, ma che al contempo risulta bersaglio della sua guerra.
“Incomprensibile, era la festa di internet” ha commentato Renzi, alla notizie della generosa resistenza alle cariche della polizia davanti al CNR. La storia è un’altra: a essere contestato non è stato internet, è stato il governo delle vite integrate nella bugia del potere, la sua passerella. Renzi ne è la faccia di questo governo, quella più arrogante. A essere contestato è stato Renzi. E’ comprensibile questo? Per tantissimi sì. Per chi è sceso in piazza sicuramente sì: risparmiatori truffati, vittime del decreto Salva Banche, espropriati dei risparmi di una vita lavoro, spesso quello cosiddetto “garantito”; giovani condannati a precarietà e incompiutezza esistenziale che ribaltano questa condizione in voglia di riscatto e aggregazione conflittuale; lavoratori stanchi della continua erosione di certezze e stabilità a colpi di jobs act, contratti a ribasso, attacchi ai contratti nazionali; proletari dei quartieri che hanno rovesciato in aumento delle pretese gli investimenti insufficienti spacciati per riqualificazione, assistenza o attenzione al sociale
Il 29 aprile ha rappresentato nuove certezze: l’importanza dello scontro, del non rinunciare a prendere parola anche a costo di scontrarsi con l’ostacolo della polizia. Urlare “noi da qui non ce ne andiamo”: l’ostinazione, il riportarsi a casa i fermati. Non tornare indietro se non per prendere la rincorsa, stringersi di nuovo tra tutti e resistere ancora alle cariche di polizia e carabinieri. Questi sono i caratteri di un nuovo spazio di riconoscimento dal quale riorganizzare una forza. Tra quanti ci siamo stretti nella rotonda del CNR ora ci riconosceremo per strada, nelle scuole, nei posti di lavoro. Ma quella rotonda non è l’unico campo di battaglia che ci aspetta. I luoghi dove siamo costretti a ingoiare soprusi e sofferenze sono i nostri campi battaglia nei quali riportare l’esempio del 29 e incontrare nuovi compagni. Abbiamo una possibilità in più per riconoscerli: se l’Italia che riparte è una motore ingolfato, nel confliggere abbiamo trovato la risorsa per la nostra parte. Nessun pifferaio per noi: tutti uniti contro il governo Renzi e la sua banda larga nel nostro territorio.
Renzi ha bisogno di continuare la sua guerra contro la società per imporre nuove gerarchie. Questa guerra ha tanti livelli. “Filippeschi leccaculo di Renzi”, recitava uno striscione in piazza. Il Premier si serve di tanti leccaculo per rivolgere lo scontro dall’alto verso il basso, infilandolo nella vita di ciascuno, schiacciando ognuno sotto il proprio problema. Dobbiamo incalzarli tutti. L’ineluttabilità non esiste e c’è sempre una chiave per ribaltare questo schema: incontrarsi, battersi per prendere parola, per non stare a questo gioco, per non farsi cancellare, per affermare un’incompatibilità. Questo ha significato la giornata del 29 aprile davanti al CNR. C’è una parte di paese che non cerca che occasioni impreviste per unirsi e trovare una via di risoluzione a ciò che subisce quotidianamente: portare il conflitto fuori di sé e rivolgerlo verso l’alto, trovare una nuova dimensione di riconoscimento collettivo. Nessuno ha più parole credibili per promesse di questo tipo: o siamo noi contro il governo o il governo sarà contro di noi.