Nella lotta dei lavoratori GB del servizio autonoleggio dell’aeroporto, che abbiamo già raccontato nel primo numero di questo giornale, c’è un pezzo che vale la pena approfondire. Sono i “Drivers”. Così si chiamano nel gruppo su WhatsApp che hanno fatto per stare sempre in contatto. Sono i trasferisti, i lavoratori protagonisti della lunga e determinata battaglia che li ha contrapposti alla GB – l’azienda che offre alle grandi compagnie di autonoleggio il servizio di pulizia e trasferimento dei veicoli nei vari parchi macchine Europe Car, Avis, Gold Car sparsi in tutta Italia.
Ehi voi, vi dico ciò che non vi ho detto mai, per gli amici che ora sono qua,
Siete qualcosa che mi appartiene siete sangue nelle mie vene…
E io vi tengo per mano perché perché il mondo in cui siamo ci vuole lontano
Perché perché lo spaventiamo teme che ci uniamo 10 100 1000 un 1000000 ci siamo?
Voglio una mano vi chiamo perché non mi va di gridare invano sai che noi uniti vinciamo e divisi cadiamo
non mi fa paura dirvi quanto vi amo.
Sangue del mio sangue. Brusco
Durante uno dei tanti viaggi che nel periodo estivo vengono commissionati ai Drivers abbiamo deciso di incontrarli e di parlare dei “giusti ingredienti” che li hanno portati a firmare il 4 giugno scorso il loro primo contratto collettivo, dopo 8 mesi di scioperi, picchetti e presidi permanenti.
La firma del contratto. Giovedì 4 giugno 2015 una decina di lavoratori firmano il contratto con la GB s.r.l.. Il contratto è inquadrato nel C.C.L.N. autorimessa-autonoleggi e prevede un part-time a 20 ore misto: 40 ore di lavoro alla settimana da giugno a ottobre, mentre da ottobre a maggio 10 ore a settimana con la formula della “banca ore”. La durata è a tempo determinato per un anno con la clausola che, a sessanta giorni dalla scadenza, un incontro tra le parti sociali ridiscuta il monte ore complessivo per la stipula di un nuovo contratto a tempo indeterminato. Fino a qui niente di speciale: solo uno dei tanti nuovi accordi per salari di 7 euro l’ora netti. La firma del contratto però in questo caso ha un altro significato in relazione alle precedenti condizioni di quel lavoro e alla lotta che ha trasformato l’intera organizzazione del servizio dei trasferimenti delle macchine e del lavaggio. Fino ad ottobre 2014, per anni i lavoratori che portavano su e giù per l’Italia le vetture che i turisti chiedevano a noleggio nelle varie sedi, avevano un turn-over altissimo.
“Io sono arrivato alla Gb per puro caso. Ero disoccupato e facevo lavoretti in giro, e tramite un signore che sapeva che ero senza lavoro ha detto al mi figliolo che cercavano alla Gb che fanno i trasferimenti con le macchine, le lavano e le puliscono. Tramite la Responsabile che conosceva questo signore. All’inizio io ero in ritenuta d’acconto, poi però a me ad aprile mi fecero il contratto a tempo determinato a chiamata per 5 mesi. Io quando sono entrato pensavo che il giochino finisse lì quei mesi, non avevo aspettative di rimanerci.”*
Quello del trasferista era considerato un lavoro impossibile da regolamentare e le speranze di continuare a lavorare ero appese ad un filo. Non esistevano contratti fissi: l’unica forma di regolamentazione esistente era il contratto a chiamata. La norma il lavoro al nero e la ritenuta d’acconto. Venivi fatto passare per turista-autista che noleggiava la macchina e via. Senza assicurazione alcuna. A Pisa, nella fabbrica-aeroporto, questi lavoratori nei mesi estivi erano inoltre impiegati per far girare a più non posso la produttività del lavaggio macchine, sottostando a un comando lavorativo che scaricava verso i dipendenti tutte le responsabilità.
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“Questi ragazzi qua gli toglievano i problemi all’azienda, gli risolvevano i problemi. Era come se fosse Loro l’azienda. E invece Loro non erano supportati dall’azienda. L’azienda solamente gli rompeva il cazzo. E non si rendeva invece conto di quanto questi ragazzi gli risolvevano i problemi. Perché io vedevo sfornare macchine e risolvere i problemi senza l’aiuto dei Principali, quelli che dovevano essere i capi. Io vedevo il singolo che ci metteva del Suo, e automaticamente levava il problema all’azienda”
E’ quindi sulla conferma\riassunzione dello stesso gruppo di lavoratori dopo mesi passati a scioperare, sui vincoli messi alla flessibilità del lavoro, sui paletti che confinano il lavoro dal resto del tempo-vita, oltre che sulla continuità del salario, che si misura quella che è una straordinaria ed innovativa conquista da parte operaia. E’ anche un precedente rispetto ad un settore ed una mansione, che in giro per l’Italia continua ad essere completamente deregolamentato e sfruttato!
Il cottimo dei trasferisti: lavora e sarai richiamato (forse). Il trasferista poteva essere chiamato in qualunque momento in qualunque orario senza alcun preavviso. La forma del rapporto lavorativo era data dalla concorrenza e dal ricatto di dover sottostare al fabbisogno imposto dai flussi di macchine richieste dal turismo. Lo chiamano “just-in-time” per nascondere una realtà in cui il tempo di vita di ogni trasferista era continuamente sacrificato. “E’ il lavoro a chiamata, bellezza!”
“ Io a differenza degli altri trasferisti mi sono ritrovato ad essere subito dentro al gruppo. E di lì ho sempre lavorato gli altri mesi. A differenza degli altri. Non c’era l’opportunità di spalmare le ore come magari si fa ora tra tutti. Perché i capi dicevano chi e come dovevano lavorare e io mi sono ritrovato a fare per mesi il full time pieno mentre loro molto meno, quasi zero”
Il lavoro a chiamata non era regolamentato dal preavviso. La paura di non essere più richiamato a lavoro prendeva il sopravvento. Tanto se non vieni te oggi, c’è un altro esercito di giovani disoccupati che aspetta di prendere il tuo posto. Questo ricatto è andato avanti per anni, distruggendo la serenità e creando ansia generale in cambio di una speranza.
“Nei rapporti tra persone e tra noi lavoratori c’era ancora disparità. Vera e propria competizione non c’era ancora mai stata, c’era quello che voleva fare di più di quell’altro ma per mettersi in mostra, per riuscire a farsi richiamare a lavoro. Era il Responsabile che tendeva solamente a fare i numeri. A portare in squadra chi gli faceva fare i numeri,cioè le macchine. Ad esempio i due ragazzini erano quelli che gli permettevano di alzare i numeri. E lui gli dava credito e così li teneva appesi al filo”
Anche i lavoratori a tempo indeterminato, i “fissi”, vivevano una situazione pesante, sia per il pagamento del salario, che ritardava sistematicamente creando disagi notevoli alle famiglie dei lavoratori; sia per le condizioni di lavoro, dettate al massimo ribasso e senza alcuna sicurezza per reggere la concorrenza degli appalti fatta dai committenti. Una serie di micro-conflitti, alimentati dall’esasperazione dei trasferisti, hanno incalzato anche il resto dei lavoratori.
“Il gruppo all’inizio era diviso: un conto chi era chiamata, a ritenuto d’acconto, i trasferisti, e un conto erano quelli a tempo indeterminato, i fissi… c’erano delle differenze sui contratti e sulle mansioni che uno doveva fare e non tutti facevano uguale all’altro. Poi c’erano delle differenze sui gruppetti che c’erano, che si erano formati un po’ per le amicizie… chi è che si conosceva da quando era bimbetto, e chi invece era arrivato all’ultimo. Le condizioni di partenza di divisioni ce n’erano tante. E infatti per questo quelli di noi con più esperienza di lotte ci tenevano a unire e a formare un trade unions… per arrivare a quelli a tempo indeterminato e che avevano di più da perdere… infatti la roba è partita da quelli senza sicurezza, senza tutele. Poi anche io mi sono ritrovato, forse per questioni di simpatia o di affinità, come il fumare ti permetteva di fermarti 5 minuti con gli altri a parlare e condividere, nasceva un rapporto con i “fissi”.
In un contesto in cui l’incertezza prende la forma di rapporti di potere ed arbitrarietà pesante, alcune situazioni possono fare da scintilla. E’ il caso delle multe: i Drivers in molti casi devono far combaciare arrivi di autovetture in determinate postazioni con il noleggio della stessa auto in un’altra postazione. “Tirare” la vettura, mettere i piedi sull’acceleratore diventa quindi quasi un comando, un ordine per “fare presto” e non far perdere la commessa all’autonoleggio. Sforare il limite di velocità comporta all’autovelox la multa che viene irregolarmente scaricata sul dipendente, privo in molti casi anche del contratto. Nell’estate 2014 la notizia di una multa presa da uno dei Drivers in ritenuta d’acconto e la volontà di farla pagare interamente a lui ha fatto scattare i primi malumori che hanno preso forma pubblica sollevando discussioni e primi conflitti.
“Un anno fa ci fu la scintilla. Si parlava sotto casa, in giro, in Sant’Ermete. Partì dal discorso della multa. E di lì ci fu un primo fermento. Questa scintilla poi ha infiammato la questione dei pagamenti, dei ritardi dei pagamenti. Si parlò con chi ci coordinava e gli si disse “te non te le devi accollà te, perchè loro ti fottono col discorso che siamo amici e che ti danno il ruolo di responsabilità. Quando le cose non carburano il problema deve andare verso l’alto”. E ci fu la polemica e la discussione di fare subito casino d’estate che era quello il momento. E’ nell’estate che è montata, è stata un’accensione: l’immagine di qualcosa che inizia a muoversi, da cosa nasce cosa e poi si scatena un’altra cosa, e poi non s’arresta più”
Promessa e tradimento, ricompensa e punizione: anatomia di un lavoro alienato. Nel contratto firmato a giugno c’è la formalizzazione di un importante principio sostenuto dai Drivers in questi mesi di lotta: “noi non siamo delle macchine, noi non siamo una variabile del turismo”. L’importanza di un monte ore fisso, che scardina il principio di ricattabilità del lavoro a chiamata, obbliga l’azienda a spendere di più per la forza lavoro. Altra clausola importante per rompere il diktat della produttività ad ogni costo, è l’introduzione del preavviso della chiamata per i trasferimenti dei veicoli a 24 ore prima della consegna, e la possibilità di rifiutarsi di svolgere quel servizio – senza possibilità di essere puniti – per tre volte a chiamata. Questi vincoli sono stati imposti dalle lotte grazie al contro-potere effettivo che nel corso degli 8 mesi di mobilitazione ha vanificato e reso inefficaci i tradizionali rapporti di ricatto e di minaccia.
“C’erano anche dipendenti o finti dipendenti che pensavano di avere firmato un contratto ma che in realtà non avevano niente.“Sì firmerai, mi sono scordato il foglio in macchina, la commercialista l’ha perso”. Queste persone pensavano di essere coperte ed invece erano scoperte, al nero o in ritenuta di acconto. Ci credevano non per la fiducia ma per la paura di non essere più richiamati al lavoro si sono fidati di quel discorso. Le persone hanno anche un po’ paura a dire la propria opinione, quello che è successo è che siamo stati mandati tutti a casa, dicendo la nostra opinione. Quando il lavoro c’è ed è parecchio per tanti altri oltre a noi. E allora abbiamo capito, e ci siamo incazzati tutti”
Non sono bastate ben due lettere di licenziamento collettivo, non è servito da parte padronale contare sulla strategia del logoramento e dell’attesa (più di 6 mesi senza stipendio). Gli scioperi, i picchetti, il presidio permanente, la cassa di solidarietà organizzata con i comitati di quartiere, hanno tenuto botta e realizzato sulla carta e sulla vita, quella volontà. Ma cosa ha permesso di rompere quella promessa che tiene in piedi ogni appalto?
“E questa gratificazione non è mai arrivata. Perché se tanto tanto arrivava una pacca sulle spalle “bravo Tizio, bravo Caio che con uno straccio avete fatto 130 macchine” psicologicamente ti avrebbe dato la carica. È solo che se mi dici bravo il minimo è che mi devi pagare! Se non ti dice bravo invece si giustifica che i soldi non ti arrivano a fine del mese! Un datore di lavoro che ha l’umiltà di dirti “bravo”, e quindi di darti del Tu e di esternare e di tirare fuori che te hai avuto delle capacità e delle qualità, equivale a dire che t’ha già pagato! Perché non si sottrae a una cosa del genere. Ma questo non l’hanno mai fatto perchè per loro non è nel loro DNA. Loro tendono a tenere il loro denaro nelle casse perchè una settimana in più nelle loro banche significa maturare chennesò mille o duemila euro di interessi su centocinquanta dipendenti che c’hanno. Questo è un loro gioco.”
La promessa può non essere mantenuta a patto di rinnovarla continuamente. Il tradimento avviene quando si interrompe questo flusso di aspettative e speranze. Per i trasferisti questo è avvenuto nel momento in cui hanno preteso. E’ stato un cambio di atteggiamento a determinare, a cascata, uno svelamento dei rapporti precedenti che ha inasprito le relazioni ed ha costruito un nuovo gruppo forte, unito e determinato. La domanda è stata “fino a che punto si può sopportare, di non prendere lo stipendio per campare, di umiliarsi di fronte ai colleghi, di reggere il peso della disparità tra la miserie delle condizioni e la ricchezza che viene prodotta?”. Stesso discorso vale per la ricompensa: la produttività è in tendenza indipendente dal salario, nel senso che l’erogazione dello stipendio non dipende da quanto e come lavori, bensì dalla volontà della gestione finanziaria, commerciale, politica dell’azienda e del suo datore di lavoro. Perciò il “premio” del tuo lavoro ha a che fare sempre e comunque con una forma di neo-schiavitù contemporanea. Non c’è sicurezza del pagamento, non c’è libertà. La ricompensa è sempre rimandata, evocata, allusa. Serve per mantenere in piedi un rapporto. Quand’è che diventa punizione? Quando dall’altra parte, quella degli operatori Gb, si smette di credere, di avere fede in quel rapporto di dipendenza, perché se ne costruiscono di altri, di più forti e più veri.
“Il 16 di ottobre, non me lo scorderò mai. È stato il mio ultimo giorno di lavoro, da lì non mi hanno più chiamato fino ad aprile. Da lì, dallo sciopero, la Capa non mi salutava nemmeno più: l’avevo tradita. Perché lì è un ambiente dove devi ringraziare sempre ed essere grato sempre, e io mi sono ritrovato per una volta a dire “no!”, ti vado in domo perchè non è giusto! Sullo sciopero. Il suo atteggiamento nei miei confronti era cambiato. Non se lo aspettavano, ci credevano delle pecore che non potevano mai ribellarsi. E poi se non lo avevano mai fatto i “fissi”, poi si sono ritrovati a farlo noi trasferisti. Che eravamo molto più ricattati. Ecco come è andata. Si sono stupiti.”
Scioperare senza diritti: come si costruisce una forza sociale.
“Si è spazzato via quei babbioni sindacalisti che pensano sempre di gestire le nostre situazioni cercando sempre un compromesso. C’erano alla Gb delle persone che invece di infondere paura e rassegnazione erano delle persone che davano un minimo di fiducia e coraggio. Magari dall’esterno le cose che si sono fatte sono sembrate delle mattate (sfondare un cordone di celerini, occupare l’aeroporto, montare sul palco della cgil, bloccare gli ingressi ) ma da dentro a quella cosa che si è fatto, per noi è stato come naturale, dei passaggi quasi naturali, un crescendo sul fatto che si era detto no! E allora siamo arrivati in fondo”
La sola possibilità di andare contro ha spiazzato e preso di sorpresa chi comanda. Non c’era una sindacalizzazione di questo gruppo. I diritti non erano rivendicati perché si aveva coscienza della loro esistenza. La questione che ha attivato un rifiuto che è diventato permanente consapevolezza di essere parte contro un altra parte è stato il forte legame che si è costruito da una condizione, da una cultura, da una pratica e da una esperienza sentita come comune, a partire dalla socializzazione dell’organizzazione produttiva seguita alla crisi dei tradizionali dispositivi di comando: dall’aiutarsi. Per i Drivers è significato scegliere di rischiare le briciole che avevano, di bruciare le speranze e provare a determinare un potere effettivo rispetto ad un contesto ed a degli obiettivi. Significativo il comportamento della digos che il 16 ottobre durante l’irruzione del corteo nella stazione dell’autonoleggio si avvicina ai lavoratori per la prima volta in sciopero, mentre spiegavano le loro condizioni segnate da abusi ed irregolarità, e avvisa: “sì, avrete anche ragione ma a fare così rischiate di essere licenziati tutti”. Ed in effetti sono state queste le reazioni da parte padronale che sono seguite, in forma isterica e vendicativa.
“È partito dai trasferisti. Poi la ritorsione sui trasferisti e poi su tutti. I due bimbi non li hanno più chiamati anche se promettevano di fare il contratto per tutti. E invece per tutti ci fecero i licenziamenti. E da lì invece si è formato un gruppo. Ci sono altre persone con una situazione che è critica per mutui, rate e prestiti. Tutto quello che in generale riguarda le famiglie italiane. Le famiglie povere italiane. Ora a maggior ragione ci hanno messo in crisi totalmente. Noi diciamo noi da qui non ce ne andiamo senza aver ottenuto il rispetto e la fiducia che meritiamo perchè abbiamo sempre svolto il nostro lavoro in maniera dignitosa ed egregia, pur non essendo messi in condizione. Soprattutto vogliamo che i padroni, ed oramai li voglio definire padroni, perchè oramai di questo si tratta dei padroni, vengano a firmare dei contratti onesti”
Sospensioni, licenziamenti, denunce. Ma l’irruzione di una nuova carica, senza mediazioni impossibili, ha determinato, a caro prezzo per i rapporti precedenti, uno strappo ed una discontinuità. Niente è simile a prima, a partire dai legami tra operatori e tra questi con il lavoro. Una nuova sicurezza è stata conquistata: una nuova promessa e una nuova gratificazione.
“Come noi siamo riusci a costruire questa cosa bella che abbiamo fatto tra di noi? Io penso che sia anche un gran culo. Perchè io dico non è possibile che da tutte le altre parti si scannano, fanno le guerra tra di loro, sono stanchi, sono rassegnati, i sindacati seminano zizzania l’uno con l’altro. E questo è da tutte le parti! E qui invece tra di noi… io lo dico sempre agli altri…ragazzi facciamo ammodo teniamocelo stretto che noi abbiamo un gran culo. Qui ci abbiamo creduto, qui la gente non ha avuto doppi fini, ci siamo uniti, siamo andati a dritto col paraocchi senza freni e senza paura”
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*tutti i testi in corsivo si riferiscono a delle trascrizioni di colloqui con operatori Gb. Si ringraziano Max, Nicola, Kevin, Valerio, Davide B., Davide D. e tutti gli operatori Gb.