Sento squillare il telefono. È mia sorella. Mi dice che hanno chiamato a casa – dove non vivo più ormai da 10 anni – e mi cerca un tizio che lavora per Tecnocasa, l’agenzia immobiliare. Il tipo dice a mia sorella che il numero l’ha avuto dalla scuola serale dove mi sono diplomato qualche mese fa. Dice che se voglio posso presentarmi ad un colloquio di lavoro presso la loro sede di Cisanello. Li per lì gli dico di sì, poi penso: “ma cosa vorranno mai da me che mi sono diplomato all’alberghiero al settore enogastronomico? Questi vendono case non bistecche!”
Ciò che non mi torna molto è che questi si sono fatti dare il mio numero dalla scuola che frequentavo e mi cercano per un lavoro. Strano, perchè uno va al centro di collocamento per cercare qualcosa, anche un part-time andrebbe bene ora come ora, ma difficilmente si trova qualcosa e le offerte in bacheca sono sempre più scarse. Stavolta è il lavoro che ti chiama a casa… insolito!
Comunque vado tanto non ho di meglio da fare quel pomeriggio. Colgo l’occasione anche per accompagnare una mia amica a comprarsi un computer nel negozio di elettronica accanto all’ufficio di Tecnocasa. Manca mezz’ora al colloquio. Mi faccio un giro con lei nel frattempo. Non voglio arrivare in anticipo, non voglio sembrare troppo smanioso per questo lavoro di cui tra l’altro ancora non so nemmeno di cosa si tratta.
Mi faccio un’idea però: è un’agenzia immobiliare, ci sarà da vendere case mi dico. Fa strano però, sto in casa popolare coi mi nonni da un po’ di tempo dopo una convivenza in affitto privato con altre persone, ma dopo che ho perso il lavoro da operaio non ho più potuto pagare. Me ne andai via prima di creare disagi alle persone con cui abitavo e per non fare un dispetto al proprietario di casa, dicevo all’epoca.
Sarebbe proprio il colmo adesso entrare a lavorare da Tecnocasa. Compravendite, mediazioni tra acquirenti e venditori, affitti. Ganzo. Già mi ci vedo in ufficio dietro un computer.
Sarebbe bello lavorare in ufficio per uno come me, appena diplomato in cucina e che vive a quasi 30 anni coi su’ nonni.
Comunque l’unico pc che sto fissando in questo momento è quello esposto nel negozio di elettronica, con la mia amica, un pc che neanche posso comprarmi. Il film che mi faccio in testa viene interrotto dall’incontro con un mio ex compagno di classe, livornese. Era dal giorno degli esami che non ci si vedeva. Dopo i consueti sfottò calcistici gli chiedo che ci fa a Pisa e mi dice che era in giro dopo essere stato ad un colloquio di lavoro… per Tecnocasa!
Avevano chiamato anche lui. Gli chiedo che impressione ha avuto, insomma come gli era andata, e lui un po’ imbarazzato e un po’ incazzato ammette di non essere entrato nella sede dell’agenzia immobiliare: il cartello all’esterno della vetrata con Homer Simpson che indica il dito verso di lui lo aveva sdubbiato più dei tre impiegati che lavoravano all’interno della sede dietro ad un pc.
Io gli dico che ha fatto una cazzata a non entrare. Cazzo, sei venuto da Livorno e non entri? Ormai ci sei, senti cosa ti offrono, no? Gli dico io, e lo convinco a venire con me. Salutiamo la mia amica che stava scegliendo il pc e ce ne andiamo a Tecnocasa.
Sul portone dell’ufficio il mio ex compagno di scuola mi abbandona.
Io entro. Non sono teso come di solito. Ormai ne ho fatti tanti di colloqui di lavoro.
Un ragazzo un po’ più giovane di me in giacca e cravatta mi fa accomodare davanti ad una scrivania vuota e mi fa compilare un questionario di tre pagine. Le prime domande sono relative ai miei dati anagrafici. Compilo piuttosto in fretta la prima pagina. Fin ora tutto ok, a parte la domanda solita in cui vado in confusione, quella sullo stato civile. Ci scrivo LIBERO, per non sbagliare. Dalla seconda pagina iniziano delle domande un po’ strane, tipo quali sono i miei hobby, i miei punti di forza, i miei punti di debolezza, cosa ne penso del lavoro di gruppo, cosa sai sulla nostra azienda, ecc. Che cazzo gliene frega se gioco a calcio? Devo lavorare con loro mica organizzare una partita di calcetto.
Alcune di queste domande personali e un po’ scontate le salto. Alcune neanche le leggo. Più per imbarazzo e impazienza di venire al sodo che per altro. Dovrei controllarmi, forse. Finisco il mio questionario ma trovo il tipo che mi aveva ricevuto impegnato in una discussione. Qualcuno gli spiega il funzionamento del sistema d’allarme dell’ufficio. Altri due ragazzi ben vestiti lavorano dietro le loro scrivanie. Chiamano al telefono chiedendo di confermare i loro appuntamenti. Probabilmente cercano di portare a termine alcune vendite.
Sto ancora aspettando che il tipo finisce di parlare con questi, ma mi inizio a stufare sicchè mi alzo dalla sedia, mi smarco dai tipi e gli faccio un cenno alzando il questionario che ho terminato. Allora si degna di considerarmi, congeda i tizi che erano con lui e mi fa accomodare in un ufficio sul retro, con sullo sfondo il gigantesco simbolo plastificato dell’agenzia.
Finalmente. Ci siamo. Penso. Adesso mi spiegherà tutto. Invece mi dice: “Allora, cosa stai facendo attualmente?”, io gli rispondo che faccio l’università, lui mi chiede quanto mi manca a finire e io gli dico, mah, veramente mi sono iscritto da qualche mese, dovreste saperlo, mi avete chiamato voi prendendo il numero dalla scuola. Rimane un po’ sdubbiato dalla mia risposta. Merda, forse dovevo dirgli che sono disoccupato e non sto facendo assolutamente niente nella vita? No, penso. Meglio dimostrare che sto facendo qualcosa. Cioé, che sono uno che si sbatte. Avrò più possibilità di esser preso. Già, ma a far cosa ancora non lo so. Da una sfogliata al mio questionario e mi fa notare che ad alcune domande non ho risposto. Io gli dico che erano troppo personali e che non mi andava di rispondere. In fin dei conti non ci conosciamo perchè devi sapere gli affari miei? Che cosa è un colloquio o un interrogatorio?
Il colloquio finisce due minuti dopo. “Bene, spediremo il questionario a Milano e loro decideranno se prenderti o no. Se sarai scelto sarai chiamato entro due settimane” e io gli dico, ok, ma per cosa? Ancora non mi avete detto in cosa consiste questo lavoro! Volete sapere tutto di me e poi… lui mi fa “senti, dobbiamo scegliere tra 300 candidati, quindi è normale sapere se ci si può fidare di voi o meno”. Un sorriso falsissimo gli si stampa in faccia.
Mi alzo, lo liquido con un “bona”, come si dice a Pisa e me ne vado.
Raggiungo la mia amica che intanto mi aspettava all’uscita del negozio di elettronica. Mi chiede com’è andato il colloquio? “Era un questionario, non un colloquio”.