E’ passato il primo mese di quarantena. Dopo un primo momento di confusione e spaesamento in cui abbiamo iniziato a fare i conti con la pandemia da CoVid19, adesso si parla di Fase 2: convivere col virus. Ma non è semplice condividere col nemico in casa.
Dal 5 marzo le scuole di tutta Italia sono state chiuse. Sono stati i bambini e gli adolescenti i primi a vedersi sospendere le proprie attività, così come gli insegnati che lavorano nel campo della formazione. Inizialmente, in quella prima fase in cui gli altri settori produttivi ancora continuavano a lavorare, non era difficile trovare la mattina i bambini che disegnavano negli uffici insieme ai genitori vista la difficoltà di pagare baby-sitter o di trovare qualcuno disponibile a farlo visto il caos che da un giorno all’altro questa chiusura ha creato.
Si è susseguita poi la chiusura di altre attività ritenute meno essenziali: settori della cura individuale e della ristorazione (parrucchieri, centri estetici, bar, ristoranti, ecc) che già stavano subendo la prima crisi in conseguenza ai primi decreti che hanno introdotto il permesso di uscire tramite le autocertificazioni. Un contro senso infatti quello di dover uscire soltanto per necessità e urgenze quando questi luoghi di lavoro stavano aperti con continue telefonate di disdette degli appuntamenti.
Anche le fabbriche stavano lavorando a pieno ritmo, per produrre beni non indispensabili, nel mentre che i primi tamponi positivi venivano accertati, operai e operaie in catena di montaggio affollavano le fabbriche per montare i pezzi dei motorini o delle automobili.
Ci sono stati degli scioperi, sono stati inviati centinaia di certificati medici ai datori di lavoro, mentre chi continuava a lavorare lo faceva con la paura di ammalarsi, paura di portare la malattia a casa dai propri cari, il senso di colpa di non smettere di lavorare perché il contratto scade tra tre mesi e “chissà se mi richiameranno se adesso mi metto a casa”. I padroni nel frattempo si chinavano ai voleri di Confindustria, iniziando un braccio di ferro con i lavoratori e le lavoratrici di tutta Italia mandati al macello per il profitto di pochi, ben al sicuro nelle loro ville con la piscina gigante. La richiesta dei DPI (mascherine guanti gel). La mancanza dei dispositivi di protezione ha scatenato un vero rifiuto del lavoro: “il gioco non vale la candela, se non ci date le protezioni per non ammalarci non si viene a lavoro. Si sta a casa”.
Mentre il servizio sanitario del nord Italia era già al collasso con le terapie intensive sovraffollate, centinaia di morti al giorno, medici e infermieri che iniziavano ad ammalarsi, il governo ha deciso di chiudere tutti i settori produttivi non strategici per cercare di contenere il virus.
Dal 22 marzo infatti, sono quattro i settori rimasti aperti: logistica e trasporti, farmaci e sanità, energia e agroindustria e servizi bancari e postali. Si è aperto un dibattito su che cosa significa tenere aperti i settori che producono beni di prima necessità. Chi ne trae vantaggio? Cosa è essenziale in un momento come questo? Cosa potrà esserlo dopo? Ci si inizia ad interrogare sul proprio tempo impiegato a lavoro, che valore ha il lavoro per noi stessi e a che cosa si rinuncia.
Nel settore della logistica c’è stato e c’è ancora tanta insofferenza di chi lavora stipato nei magazzini, fianco a fianco a scaricare il camion, a mettere i pacchi sul rullo, caricare i furgoni, effettuare le consegne a più di cento persone al giorno. Ci sono stati i morti in questi magazzini. Ma non vengono chiusi. Continuano a produrre.
Adesso è passato un mese. La riapertura, anche se parziale, delle attività sarà sicuramente posticipata a maggio rispetto al 13 aprile che si sta avvicinando inesorabilmente. Ma ancora ci sono troppi morti.
Alla radio, in tv, su internet, il governo ci rassicura. Chiacchiere. Continuano a dire che il picco del contagio sta calando ma che questo “non è il momento di abbassare la guardia”. I politici si “curano di noi”, dobbiamo rispettare le regole e stare uniti. Carta bianca è stata data alle forze dell’ordine e non sono mancati diversi casi di abuso di potere. Circolano infatti video o testimonianze di pestaggi ad alcune persone trovate in strada senza “validi motivi” o multe ai danni di lavoratori che “facevano un assembramento”. Gli sceriffi del quartiere. Sono stati denunciati i lavoratori che hanno incrociato le braccia davanti ai cancelli delle fabbriche e dei magazzini, perché hanno chiesto una mascherina, la sicurezza di non ammalarsi. Padrone di merda.
Dov’è quindi l’unione che ci viene richiesta da Conte? I politici di diverse fazioni si assembrano davanti alle telecamere, proiettano nelle tv delle nostre case i loro battibecchi. Nauseanti. Mentre a noi ci chiedono di stare in casa. Ma la quarantena non è uguale per tutti. Senza lavoro, senza cassa integrazione che chissà quando arriverà, con pochi soldi per mangiare e con le bollette da pagare. Ci vengono controllate le buste della spesa e gli scontrini fuori dal supermercato, perché uscire per comprare un pacco di pasta o di assorbenti non è una spesa “indispensabile”. “Dovete fare la spesa una volta alla settimana!”. Come è successo a Fucecchio dove il sindaco ha sgridato i suoi cittadini perché erano in fila senza carrello e quindi colpevoli di comprare poche cose, di spendere poco. “Siete irresponsabili, lo sapete che ci sono tante persone in terapia intensiva?”. Si certo che lo sappiamo, ormai in tanti conosciamo persone a noi vicine che si sono ammalate o sono decedute. Non è per mancanza di senso di responsabilità, ma per mancanza di soldi. Ma chi ci da questi soldi per fare la “spesona”? In tanti siamo abituati, purtroppo, a vivere alla giornata. Quanto tempo è che non faccio la spesa una volta alla settimana? I sussidi promessi tardano ad arrivare. Arriveranno?
Siamo stipati in casa, mica tutti hanno il villone. In quattro in due stanze si sta male. Si sta stretti. Dentro le mura domestiche non si sta bene. Non si sta bene in situazioni familiari in cui il carico del lavoro domestico (fare la spesa, le pulizie, cura dei figli e tanto altro) ricade, in molti casi, esclusivamente sulle donne. Non è una vacanza. Il divano ci divora. Ma lo fa anche la violenza domestica. Una donna è stata uccisa in Sicilia, ma non dal CoVid19. Dal marito. L’accusava di averlo infettato. Tante altre donne subiscono abusi tutti i giorni. Il numero dei centri anti-violenza squilla di continuo. Restare a casa non sempre significa stare al sicuro. Non è sicuro nemmeno quando non si riesce a pagare. Il padrone di casa continua a tartassarci di telefonate e messaggi chiedendoci i soldi dell’affitto che questo mese però non prenderà perché non ho percepito lo stipendio. Ci vuole mandare lo sfratto. Ah ma gli sfratti sono stati sospesi fino a giugno. Stringiamo i denti, ma giugno arriva presto e se riapre tutto lo sfratto arriverà e le utenze saranno staccate. Siamo in casa sommersi di pensieri, soli, agitati, nervosi, incazzati, impauriti. Per mille cose diverse. E’ vero, non bisogna abbassare la guardia, ma il virus non è l’unico problema, tanti pensieri nella testa.
Dopo la fine della pandemia, niente tornerà alla normalità, come prima. Non bisogneremo abbassare la guardia con i padroni di casa che vorranno le mensilità dell’affitto non pagate durante la quarantena. Ci vorranno sfrattare. Non potremmo abbassare la guardia con i capetti a lavoro che ci stanno spremendo come limoni in questo momento di emergenza o che ci parlano male dietro le spalle perché ci siamo messi due settimane alla mutua, per stare a casa. Ci vorranno licenziare. Non potremmo abbassare la guardia perché abbiamo fame. I supermercati stanno alzando i prezzi del cibo e quei pochi buoni spesa che il governo distribuirà non sono per tutti, ci scanneremo per averli. Il motivo del nostro stare male non è soltanto il CoVid19. Ci sono tanti “virus” nella società che nella “normalità” delle nostre vite, ci impongono come vivere, come dobbiamo comportarci, quanto dobbiamo lavorare e quanto guadagnare.
Ricordiamoci di chi ci dice che non è il momento di abbassare la guardia…