La pandemia e il lockdown hanno messo il luce le enormi mancanze che la nostra società ha nei confronti delle persone e della cura del loro benessere. In particolare abbiamo visto l’oscuramento dei bisogni formativi e di socializzazione dei bambini e delle bambine: le scuole e gli spazi verdi sono stati chiusi, al supermercato non si potevano comprare fogli e matite colorate.
L’emergenza ha frantumato una normalità fatta di sacrifici, servizi mancanti e strutture inadeguate facendo piombare milioni di persone in una nostalgia del prima, per quanto sfasciato fosse. Questa nostalgia si è trasformata nella voglia di confrontarsi, rompere la solitudine e pensare a un dopo diverso per genitori e genitrici, studenti e insegnanti.
In tutta Italia gruppi di mamme, associazioni, lavorat* del mondo della formazione hanno lanciato una mobilitazione il 23 maggio: le piazze si sono riempite in rispetto delle misure per garantire la sicurezza di tutt*. Le mobilitazioni si moltiplicano e anche a Pisa si è svolta un’assemblea digitale di Non Una di Meno alla quale hanno partecipato studentesse, insegnanti, genitori. Le prossime date di mobilitazione saranno il 3 giugno, uno sciopero della Didattica a Distanza e il 4 giugno una manifestazione.
Proponiamo di seguito la testimonianza di Rossella, maestra precaria della nostra città.
Emergenza da quando?
Il 4 marzo il governo annuncia la chiusura delle scuole per l’emergenza Covid-19. È mercoledì sera, noi siamo a scuola per la programmazione settimanale della didattica. Non facciamo in tempo ad organizzare il materiale da far portare a casa ai bambini, poiché la scuola è vuota, a parte noi insegnanti, che in un’aura di disorientamento ce ne torniamo a casa, non consapevoli, come tutti, di quello che stava accadendo esattamente. Ci viene detto che il giorno dopo non possiamo tornare a lavoro, senza aver avuto alcun anticipo sulle tempistiche relative a un blocco delle attività che coinvolge una platea vastissima. Non che spettasse a noi insegnanti la decisione di quando e come chiudere. Figuriamoci, alle insegnanti viene chiesto molto, ma mai pareri sul funzionamento della macchina. Ma i nostri pareri arrivano e come. La prima considerazione spontanea e a caldo è che se la notizia della chiusura fosse arrivata nella mattinata di quello stesso giorno, quindi durante le ore in cui i bambini erano a scuola, ciò avrebbe permesso loro portare con sé il proprio materiale scolastico. Così facendo, infatti, si sarebbe potuto evitare alle insegnanti, in questi primi giorni di aprile, l’ulteriore incarico di reperire gli indirizzi delle famiglie di ogni bambino, cambi di residenza compresi; si sarebbe potuto evitare di far uscire di casa le docenti per dover recarsi a scuola e raccogliere quaderni e libri in ogni classe, sotto ogni banco e impacchettarli; si sarebbe potuto evitare di pretendere che una celerissima protezione civile li smistasse nelle case di bimbi annoiati che aspettavano, a un mese dalla chiusura della scuola, di riavere i propri quaderni, accolti come un pacco di Natale.
Nel frattempo, è in atto il lento e faticoso avvio della didattica a distanza. Più che un avvio è una vera propria rincorsa. La didattica e le lezioni inseguono le insegnanti, il dirigente, famiglie e bambini e viceversa, in una bolla d’ansia generale generata dal dover avere a che fare con una digitalizzazione poco prima sconosciuta e ora forzata. Si inizia con il registro elettronico e con la creazione di gruppi Whatsapp. Ogni insegnante ha che fare con più di una classe, si va dalle 2 alle 6 classi ciascuno. Ogni gruppo Whatsapp comprende mediamente 20 famiglie. Oltre ai gruppi con le famiglie esistono i gruppi Whatsapp per ogni team, ovvero la squadra di insegnanti che ha ogni classe (c’è il team delle classi prime, delle seconde, e così via). Mentre i telefoni fondono, si cerca di mantenere il contatto con i bimbi attraverso l’invio di video, foto e vocali. Il cellulare si riempie ogni giorno delle loro faccine, più pallide adesso, che impastano la pizza, disegnano arcobaleni e immaginano la primavera là fuori.
Tra un gruppo Whatsapp e l’altro inizia per le docenti la formazione per le piattaforme della didattica a distanza. Si inizia con una piattaforma, sembra andare bene, le docenti ci si cimentano, ma eccone arrivare un’altra. E riparte la formazione. Video riunioni, video tutorial, prime prove con le classi, 22 bimbi di 6 anni in una sola schermata. Si cerca di stare al passo. Ma le difficoltà rimangono lì. Sospese. Inascoltate. Sono quelle delle colleghe insegnanti-mamme, con figli alle scuole superiori e alla primaria, ma con un solo computer in casa. Sono quelle dei genitori che lavorano e non riescono a seguire il figlio al pc. Sono quelli delle famiglie che il computer e la wifi non ce l’hanno e non l’avevano neanche prima.
E allora penso a quando sento dire che se i computer non bastano è colpa dell’emergenza. Che questo caos della didattica a distanza esiste perché ci siamo trovati nell’emergenza. L’emergenza. Ma l’emergenza c’è sempre stata! È quella dell’alunno che non ha il computer. Il problema della digitalizzazione c’è sempre stato! È quello dell’insegnante che adesso è totalmente nel panico e del pc ha paura perché la scuola non gli ha mai detto come fare, non ha mai organizzato un corso di formazione sulla materia. E parlo di corsi ben strutturati, non di quelli di 6 ore che ti insegnano a creare una cartella sul desktop. Parlo della mancanza di mezzi e tempo dedicati alla formazione di insegnati e alunni, della necessità di non lasciare nessuno indietro nella vita di tutti i giorni, dall’alunno che non ha il pc all’insegnante che ha svolto per tutta la sua vita il lavoro con il gesso e la lavagna. Ma poi rifletto, penso ai famosi tagli e oltre, alla mancanza di un corso di formazione gratuito per tutti, al pc che la scuola dovrebbe dare a chi non lo ha, vedo che oggi nella scuola italiana il sapone e la carta igienica vengono riforniti a rotazione dalle famiglie dei bambini, che le LIM e i computer scolastici vengono acquistati con i punti dell’Esselunga e Coop delle spese dei genitori. Che a Natale e a fine anno scolastico i genitori devono comprare i lavoretti creati dai propri figli perché ogni plesso possa avere un fondo di cassa; che la scuola procacci studenti-clienti attraverso gli open day, come un’impresa.
E allora non può bastare che i dirigenti in questo momento mettano a disposizione i pc della scuola per studenti e insegnanti. Non può bastare che la ministra prometta buoni e materiali per gli studenti meno abbienti “perché nessuno deve rimanere indietro”. Perché ad essere indietro è la scuola italiana, con i suoi studenti, i suoi insegnati e le sue famiglie, in un’emergenza che esisteva molto prima del Covid-19.
Foto © Marco Merlini Roma, 23 maggio 2020 Ministero dell’Istruzione Mobilitazione docenti, studenti, educatori e genitori per una scuola migliore e in presenza