Questo pomeriggio siamo state insieme a C. che da otto anni passa da una struttura di fuoriuscita dalla violenza all’altra.
Suo marito, da cui si è separata col codice rosa, dopo averle fatto ripetute violenze si è impossessato della casa popolare a lei intestata: le ha tolto la residenza, l’ha denunciata.
L’esito di questo lungo percorso è che l’uomo violento rimane in casa, la donna con la sua vita sparsa chissà dove qua e là.
In tutti questi anni non si è mai arrestata né la violenza dell’uomo né quella delle istituzioni.
Lui continua a minacciarla, appropriarsi indebitamente della sua identità.
Il sistema -nel suo complesso- continua a non dare nessuna soluzione, rimandare le scadenze, far sembrare irraggiungibile quello che le spetta di diritto: la sua casa, i suoi effetti personali, la sua autonomia.
Da anni C. lotta per raggiungere la sua libertà, da anni è consapevole che le strade che le vengono proposte non vanno in questa direzione.
È così che abbiamo conosciuto C. Insieme abbiamo realizzato che se le strade non esistono, se ogni rimedio sembra precluso, ogni percorso impossibile, allora le soluzioni vanno create.
Non siamo e non saremo la stampella di un sistema istituzionale violento e strutturalmente incapace di trovare una soluzione per C. e per le migliaia di donne e soggettività altre che in questo paese subisco violenza quotidianamente.
Anche in questa fase delicata, assistiamo ad un continuo definanziamento delle case rifugio e dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, all’aumento delle difficoltà nell’accesso al Codice Rosa, all’esclusione dai servizi di chi non ha le residenza.
Tutte problematiche che portano ad ostacolare o addirittura impedire la sottrazione dai contesti in cui si perpetrano abusi.
Per questo abbiamo deciso di iniziare ad autodifenderci, prenderci cura di noi, riprenderci ciò che ci spetta di diritto ma che nei fatti nessun istituzione si impegna a restituirci.
Per qualche ora abbiamo accompagnato C. a casa sua, in tante, cercando di rispettare le norme anticontagio, ma determinate e unite, sfidando l’intollerabile arroganza di chi si sente impunito.
Abbiamo occupato lo spazio pubblico e privato contro la violenza sessista, che anche in questa pandemia ci vorrebbe ulteriormente disciplinare e ammutolire, attraverso la narrazione inadeguata sulla casa come spazio sicuro e protetto.
Abbiamo scelto di non accettare le coordinate del fattibile previste dallo Stato, di non attendere più di essere “difese” da qualcuno, ma di riprenderci spazi di libertà e possibilità, insieme, alla luce del sole.
Non è stata una passeggiata, sappiamo che non basterà una volta sola, ma non siamo intenzionate ad arrenderci.
Continueremo ad affrontare la violenza maschile e istituzionale, insieme.