Lunedì hanno scioperato per due ore a turno i lavoratori Piaggio del reparto ACN (macchine utensili) su iniziativa di alcuni Rsu del Comitato Operai Piaggio. I sei rappresentanti sindacali, Cappellini, Tecce, Guezze, Bellagamba, Mei e Di Sacco spiegano la motivazione dello sciopero “per denunciare l’incompatibilità tra straordinario e cassa integrazione, per protestare contro questi arbitrii dell’azienda, che altri evidentemente fanno finta di non vedere, dalla maggioranza del sindacato, pronto a firmare tutto senza condizioni, ai funzionari del ministero del lavoro e dell’Inps che dovrebbero controllare come vengono usati i soldi di tutti i lavoratori”.
“Dall’inizio dell’emergenza Covid la Piaggio ha sempre rinnovato la richiesta di cassa integrazione cosiddetta “Covid” – hanno argomentato i promotori della protesta -, anche dopo il fermo imposto di Aprile, con la ripresa a pieno ritmo, con straordinari e circa 200 contratti a termine. In questi ultimi giorni di Novembre molte linee di montaggio hanno già cessato la produzione, in particolare alle meccaniche dove le linee sono tutte ferme con i lavoratori in cassa integrazione al 60% dello stipendio. Soltanto pochissimi reparti come l’Acn ( macchine utensili) continuano la produzione a pieno su tre turni, non solo, anche richiedendo lavoro straordinario il sabato e la domenica notte, mentre operai dello stesso reparto e con le stesse mansioni sono messe a casa in Cig”
In questi sei mesi difficili il Gruppo Piaggio ha comunque registrato un utile netto positivo per 9,1 milioni di euro.
Mentre Colaninno continua a fare politiche industriali basate sulla precarietà e sull’iper-sfruttamento dei lavoratori, l’ azienda riceve ogni anno milioni di euro dallo Stato sotto forma di ammortizzatori e sociali e altri milioni dall’Unione Europea per futuri investimenti. Soldi che vengono dalle tasche dei contribuenti, di chi paga le tasse nel nostro paese, i lavoratori dipendenti.
Nonostante i piagnistei di Confindustria, anche in questo caso la crisi del coronavirus, si sta rivelando per molte grandi aziende un’ulteriore possibilità di profitto, di erosione dei diritti sindacali e nuove possibilità di investimento tecnologico.