Lunedì 25 gennaio 2020, è stata convocata on-line la seconda commissione consiliare del comune di Pisa, quella con le deleghe al “sociale”. All’ordine del giorno c’era il recente accordo per recuperare la morosità degli inquilini (canoni di affitto non pagati) tra l’agenzia di riscossione comunale Sepi e l’azienda che gestisce il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, migliaia di appartamenti sull’intera provincia.
Abbiamo avuto, come redazione di Riscatto, modo di ascoltare queste due ore di seduta istituzionale, verificando la gravità dei fatti emersi dalle parole dei vari amministratori e degli esponenti politici della maggioranza e la timida contrarietà dell’opposizione.
In questo articolo schematizziamo i principali argomenti e decisioni emersi e tracciamo alcune considerazioni.
Primo. Chi parla di cosa
La commissione consiliare aveva come proposito quello di approfondire la situazione di morosità incolpevole all’interno delle case popolari, alla luce anche delle precedenti commissioni che nei mesi di ottobre, novembre e dicembre avevano “toccato con mano” le nefandezze prodotte dall’assenza di manutenzione straordinaria e dal fallimento dei vari progetti di riqualificazione di apes, comune e regione. In quegli incontri era emerso l’estremo disagio delle “periferie pisane” e anche stilato una serie di punti da sviluppare a livello istituzionale di concerto con i comitati di quartiere, in particolar modo quello di sant’ermete. Il tema profondo era quello di non poter continuare a tollerare la vessazione di migliaia di inquilini di case popolari, che non solo sono gravati da problemi economici e sociali prodotti dalla crisi, ma anche dallo squallido abbandono che ha trasformato nei decenni centinaia di lotti di case popolari in tuguri senza alcun tipo di servizio. All’ordine del giorno avrebbe dovuto esserci quindi la necessità di non considerare legittimo il totale cumulato delle morosità, laddove invece deve essere scorporato di tutte le spese mai effettuate di manutenzione straordinaria da parte dell’ente gestore di Apes. Invece nella commissione del 25 gennaio non c’è traccia delle discussioni precedenti e infatti nessun inquilino delle case popolari o realtà associativa, sindacale e di base, è stato invitato , per quanto si parlasse di loro. Erano presenti, oltre ai consiglieri comunali della commissione, la signora Gianna Gambaccini, nel triplice ruolo di Assessore alla casa del comune di Pisa, Presidente della Società della Salute zona Pisana, Presidente del Lode pisano (l’ente politico che governa la gestione di Apes su tutti e 36 i comuni). Inoltre erano presenti personale dirigenziale del Servizio sociale e Dirigenti della S.e.p.i. e di Apes.
Secondo. Perchè questo accordo
Se a discutere di “come affrontare la piaga della morosità incolpevole” c’erano tutti i massimi dirigenti delle aziende municipalizzate (apes, sepi, sds), gli inquilini delle case popolari esclusi dalla discussione – i diretti interessati – sono stati comunque il principale argomento politico.
E’ infatti “colpa” di questi “cosiddetti furbi” se l’Apes è in debito di 16 milioni di euro derivanti dalla morosità! Ed è questo “buco” che ha giustificato un accordo negli scorsi mesi – per lo più tenuto segreto – tra Apes e Sepi per gestire in modo più efficiente il recupero di questi crediti.
Questo debito di 16 milioni di euro, si dice nella commissione per bocca dei dirigenti Apes, è detenuto per metà (8 milioni di euro) dagli inquilini del Comune di Pisa, e per un’altra metà da quella degli inquilini dei restanti 35 comuni della provincia Pisana.
Il Lode Pisano, afferma l’assessore Gambaccini, ha votato all’unanimità la stipula di questo accordo, e di conseguenza, essendo la maggioranza dei votanti del lode pisano amministratori di centro sinistra, non è possibile dire che è stata una scelta esclusiva della Lega, bensì bipartisan. Vedendo i danni della amministrazione regionale Pd sulle case popolari, niente di nuovo sotto il sole: i politici sono sempre tutti d’accordo quando si tratta di martoriare e perseguitare le fasce della popolazione più colpite dalla crisi, e non da oggi.
Terzo. Procedure
Fino ad oggi il tentativo di recuperare gli affitti non riscossi da parte di Apes è avvenuto dagli uffici interni tramite i “piani di rientro”: sotto la minaccia di sfratto a causa di morosità, hanno inchiodato centinaia di inquilini a delle rate aggiuntive al costo del canone di affitto, gonfiate di more e spese accessorie di varie centinaia di euro ogni mese. Questo “piano di rientro” viene concordato a forza, tra l’inquilino “debitore” e gli uffici. Spesso e volentieri per essere ratificato ha necessitato di “acconti” pari a diverse migliaia di euro. In taluni casi, la sola stipula di piani di rientro non ha dato luogo alla sospensione dei provvedimenti di sfratto e rilascio dell’alloggio, tenendo per anni e anni gli inquilini morosi letteralmente incollati all’arbitrio dei vari funzionari e anche degli impiegati che seguono le pratiche di riscossione per conto di Apes.
Tutto ciò evidentemente non è bastato. Con la crisi economica migliaia di famiglie sul nostro territorio hanno visto ridursi il proprio reddito, nello stesso tempo la gestione del patrimonio pubblico si è aziendalizzata. Sulle case popolari è iniziato un vero e proprio “bottino” fatto di milioni di euro sottratti, flussi di finanziamento agganciati a bandi europei, sprechi immani, appalti falliti, manutenzioni straordinarie non eseguite e lavori da tappabuchi, progressivo aumento e rigonfiamento del canone che in alcuni casi arriva a essere di 600 700 euro con conguagli di migliaia di euro a fine anno. In particolar modo i servizi aggiuntivi condominiali e le more fanno crescere le cifre da ricevere. Così quello che prima era un fenomeno sporadico è diventato sistematico: non pagare in modo regolare il canone di affitto di case popolari. Anziché supportare riforme che rendano giustizia a questo patrimonio e modifichino le condizioni strutturali che creano “debito”, la mossa è stata quella di approvare questo accordo contro gli abitanti delle case popolari.
La discussione ha illuminato alcuni aspetti terrificanti di questo accordo:
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la bozza risale addirittura ad agosto 2020, ma risulta attivo da ottobre 2020 con durata di tre anni, rinnovabile per altri tre anni. Le possibilità di rescissione di tale contratto sono devono avere un preavviso di minimo 6 mesi…
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dal prossimo marzo, la Sepi riceverà da Apes i nominativi degli inquilini morosi “colpevoli”. Sepi calcolerà ispezionando i redditi dei singoli nuclei familiari gli eventuali patrimoni (e buste paga) “da aggredire”, facendo un calcolo sulla base dei redditi del 2018 di tutti i componenti del nucleo familiare paragonato al debito che hanno. Apes ha detto che con l’acquisizione diretta dei redditi da parte di Sepi, nessuna famiglia finirà più in fascia K e che così potranno anche rimodulare i debiti di chi c’era finito prima per non aver portato i cud. La fascia K era una tariffa straordinaria di quasi 500 euro mensili per canone di affitto che veniva applicata a tutti coloro che in un modo o nell’altro non avevano adempiuto alla verifica dei requisiti Isee. Peccato che nel presente accordo non c’è traccia di questa “rimodulazione” né di come queste verifiche vengano eseguite!
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Dal trasferimento dei dati di Apes dei “morosi colpevoli”, ci saranno 4 mesi di tempo prima che Sepi avvii il procedimento di riscossione coatta. Apes, secondo il presente accordo, può in ogni caso bloccare questo procedimento in ogni momento. L’Apes può quindi decidere, in base a “suoi criteri”, per chi far partire il procedimento e per chi no, per farlo continuare fino al pignoramento e per chi lo revoca. Nessun criterio comune, e soprattutto nessun controllo su come questi strumenti verranno utilizzati. In particolare nessuna contestazione sul debito sarà possibile di fronte a Sepi. Quindi la Sepi è usata come vera “arma” di punizione nei confronti dei soggetti che di volta in volta verranno descritti da Apes come “colpevoli”.
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Per non essere inserito nella lista dei “cattivi pagatori di Apes” bisogna aver quindi stipulato un piano di rientro con Apes che venga puntualmente rispettato, oppure avere una presa in carico dai servizi sociali con la relativa relazione che certifica la condizione socio-economica o altre variazioni sopravvenute nel nucleo. I responsabili dei servizi sociali presenti (Atzeni e Pardini) hanno inoltre affermato che “essere seguiti dall’assistente sociale non fa automaticamente riconoscere la morosità come incolpevole” e che loro comunque potrebbero solo coprire la morosità di massimo un anno, non di più.
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Incalzata da varie domande, l’assessore Gambaccini ha detto e ridetto che non possono essere considerati morosi incolpevoli quelli che vivono in case “con molte criticità, ma che non hanno la certificazione di inagibilità”. Questi “devono pagare come tutti gli altri”. Ha detto inoltre che sanno che non possono far sfratti a 2000 persone, ma che “da qualche parte bisogna partire” per recuperare 8 milioni di euro di debito che sono solo il debito di Pisa. D’altra parte, però, né l’Assessore, né Apes, né Sepi, hanno volute rispondere se questo servizio da usuraio, che da oggi era svolto dagli uffici di Apes, verrà effettuato a titolo collaborativo o pagando la prestazione economica. Purtroppo abbiamo scoperto, leggendo l’accordo, che la Sepi verrà pagato minimo 80 mila euro all’anno per fare i pignoramenti agli inquilini. All’articolo 5 viene specificato la tariffa particolare per ogni servizio: si va da 1,10 euro per ogni bollettino di affitto inviato a 5 euro per ogni notifica di avvio procedimento. Da moltiplicare, per ogni mese per quasi diecimila, il totale degli inquilini delle case popolari. Questo significa che gli inquilini delle case popolari finanzieranno con gli affitti ad Apes il servizio di pignoramento delle loro misere buste paga affidati a Sepi. “Cornuti e mazziati”, ci viene proprio da dire. E tutto questo nonostante nella commissione sia stato più volte ripetuto che il totale complessivo del debito (16 milioni di euro) che il problema dei forti debiti sono la mora alta e le quote di condominio ed utenze alte…
Quarto. I presupposti ideologici di quest’accordo.
L’accordo tra le due principali Società in house del comune di Pisa – Sepi e Apes – che regolamenterà in peggio la vita e le tasche di più di diecimila persone, non solo è stato tenuto nascosto fino a poche settimane fa, ma è anche assolutamente inadeguato sia sul profilo normativo che su quello sociale. Sono solo cinque paginette in tutto! Persino un normale contratto di affitto tra un singolo inquilino e proprietario è più corposo e dettagliato! E’ anche vero, e non è una battuta, che oramai la gestione del patrimonio pubblico è stata egemonizzata dalla logica tecnico finanziaria, scalzando la principale mission di “assicurare un alloggio dignitoso ai ceti meno abbienti”. Sarà un caso che l’attuale Direttore di Apes, il Signor Claudio Grossi, ex quota Partito Democratico, nell’incarico precedente fosse stato proprio il Direttore di Sepi? Non ci interessa certo soffermarci su questioni personali, è invece una questione di opportunità politica quella che emerge nel definire una gestione familiare che assimila l’esercizio del diritto alla casa con il “recupero crediti”.
Se quanto finora esposto è il “bastone” con cui disciplinare gli inquilini delle case popolari, esiste anche qualche rovescio della medaglia? Sempre durante il suo intervento nella commissione consiliare, l’assessore Gambaccini del comune di Pisa, ha resocontato dell’incontro avvenuto nelle settimane precedenti con il nuovo assessorato regionale alla casa, illustrando alcune proposte. Istituire un fondo per la morosità incolpevole per le case popolari (con fondi anche statali); chiedere alla regione di farsi portavoce anche in altri organi istituzionali di un nuovo regolamento che permetta di “normare” le situazioni di saldo e stralcio parziale dei debiti, senza incorrere nel rischio del “danno erariale”. Queste “indicazioni” dovrebbero essere recepite nei prossimi mesi tramite incontri con i “tecnici regionali”. Se negli intenti queste “prospettive” sicuramente cercano di considerare la morosità come questione “sociale”, purtroppo nella realtà questa “carota” è parecchio insipida, poiché sposta nel tempo – rimandando ulteriormente – e scarica le responsabilità politiche che invece da subito possono essere prese dalle attuali amministrazioni sia comunali che di Lode Pisano.
Ci riferiamo ad esempio alla scelta di non utilizzare proprio il vigente regolamento del lode pisano per attuare lo stralcio delle morosità e la rimodulazione degli affitti di quegli inquilini che hanno subito (e tutt’ora subiscono) i danni prodotti dalla cattiva gestione di Apes. Ci riferiamo ad una assunzione di responsabilità diretta sulla gestione dei già presenti fondi per la morosità incolpevole, tramite società della salute, dei fondi regionali e nazionali del bando periferie per la riqualificazione urbana di sant’ermete, della vicenda dello scandalo di villa madrè, dell’infinita sequela di fallimenti e riassegnazione delle ditte in appalto; dello sconsiderato aumento dei canoni di affitto e dei servizi condominiali, dall’ultima legge regionale fino alle rendicontazioni non trasparenti di Apes.
Ma soprattutto ci riferiamo a quel dribbling oramai prevedibile e scontato che la politica ogni volta cerca di fare per evitare la questione politica: chi deve finanziare le case popolari? Più volte e senza vergogna durante la commissione il presupposto insindacabile, ripetuto sfacciatamente perchè al sicuro dietro degli schermi della diretta on-line, è stato quello di affermare “gli unici finanziamenti di Apes oramai provengono dalla riscossione degli affitti, quindi non pagare gli affitti equivale a non finanziare le manutenzioni e i futuri servizi di edilizia residenziale pubblica”. Si chiama gestione neoliberista dei servizi pubblici. Accollare ai cittadini (utenti) il costo dei servizi, quando invece queste attività sono già pagate dalle tasse e da dei fondi che negli anni sono addirittura rimasti inutilizzati, come il fondo Gescal, liberando le imprese e i Ricchi dal peso di contribuire a queste spese. Attribuire alla riscossione degli affitti la funzione di unico finanziamento è la politica di chi accetto che la spesa sociale e i finanziamenti statali, europei e regionali vengano impiegati solo laddove “rendono”, ovvero fanno ingrassare le solite cerchie di malfattori finanziari. A Pisa questo è successo più volte: lo scandalo del people mover è stato proprio questo: 80 milioni di euro di soldi pubblici buttati per un opera inutile, costosa e dannosa che ha favorito le solite imprese sull’orlo del fallimento come Condotte spa. Nel medesimo anno, il 2016, 10 milioni di euro sono stati sottratti dai finanziamenti regionali e comunali per costruire la riqualificazione delle case popolari di sant’ermete.
Dietro l’accordo Sepi-Apes c’è quindi una visione determinata a continuare a distruggere ogni garanzia sociale. Colpire gli inquilini delle case popolari significa poi continuare a “livellare”, verso l’alto, la differenza tra libero mercato degli affitti e edilizia residenziale pubblica. Invece di riconoscere l’insolvenza sociale come effetto di una ingiustizia strutturale, quella che aggancia bisogni fondamentali come la casa a “quote” economiche stratosferica decise dal Mercato, si persegue e si intensifica il gonfiarsi di una bolla di debitori da tenere sotto ricatto.
Gratta-gratta questo finto populismo, vengono fuori le solite offese al popolo: ancora nelle parole dell’Assessore: “ invece di pagare l’affitto, nelle case popolari c’è pieno di gente che è abituata solo a scroccare, i soldi li buttano a giocare nelle macchinette o a farsi le unghie dall’estetista..” L’arrogante giudizio degli immorali comportamenti degli “strati bassi” viene ancora una volta utilizzato per coprire le proprie responsabilità: le case popolari a marcire ce le lascia l’apes e il comune, perchè quei soldi sono impiegati per ALTRO.