Da quasi un mese ormai sono ricominciate le lezioni all’Università e con il riattivarsi dei corsi in presenza sono tornatə a Pisa anche moltissimə studentə. Fra case che mancano, posti in residenza che non arrivano e affitti sempre più alti, però, la città sta pian piano diventando sempre più inospitale per tuttə coloro che provano a viverla; Una delle costanti che stanno tornando insieme a questa strana “normalità” post-pandemica è sicuramente quella delle file a mensa.
A chi non capita di fare le corse fra una lezione e l’altra per mangiare qualcosa al volo e poi tornare in aula? A chi non capita di sedersi con un occhio all’orologio e l’altro a quello che hai nel piatto? o semplicemente di dire “oggi non voglio spendere tanto, andiamo a mesa”? Qualunque siano le motivazioni che ci spingono a farlo, quello con cui ci scontriamo quotidianamente sono interminabili file.
Ma cosa si nasconde dietro ad un pasto che dura fra l’ora e l’ora e mezza?
Forse l’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio Universitario non aveva previsto il ritorno ad un’affluenza di studentə così alta: sicuramente non ha pensato ad assumere nuovo personale, arrivando così a sovraccaricare in maniera evidente le poche persone che da anni servono il pasto a migliaia di studentə. E allora mentre stiamo in fila non possiamo non pensare al piano assunzioni del D.S.U. per il prossimo biennio, che prevede quarantasette assunzioni tra il personale amministrativo… di sicuro non sono quelli che cucinano o ci distribuiscono il pranzo.
Passa mezz’ora, finalmente riusciamo a raggiungere il nostro vassoio, solo per scoprire che sono sparite le tovagliette. Provando a chiedere un po’ in giro viene fuori che si tratta di una “svolta green” dell’azienda. Viene un po’ spontaneo domandarsi allora se il dottor Carpitelli (direttore generale del D.S.U.) abbia mai visto quanta plastica viene utilizzata per il take-away.
Ma niente di tragico, passiamo avanti. Arriviamo finalmente al nostro obiettivo, e dall’altra parte del bancone possiamo intravedere una fotografia della situazione lavorativa: quattro persone che servono due file interminabili, correndo tra il cibo che finisce e non arriva, vassoi pesantissimi da spostare e studentə che, dopo mezz’ora di fila, hanno ormai i minuti contati per poter mangiare e tornare in tempo a lezione.
Riusciamo a conquistarci il nostro pasto, ci giriamo verso gli yogurt ma anche oggi il loro scompartimento è vuoto. A questo punto non può che tornare in mente la “svolta green” delle tovagliette, e la favoletta è sempre meno convincente. Non è che si tratta di un taglio progressivo a tutto ciò che è considerato “superfluo”? Cosa (o chi) sarà il prossimo ad essere reputato “non necessario” dal Carpitelli? Per due anni abbiamo pagato per servizi di cui non abbiamo usufruito, e adesso si permettono anche di venirci a parlare di “tagli” e “sacrifici necessari”.
Mense, residenze universitarie, aule in cui poter studiare, non sono questioni accessorie o superflue, ma quanto ci serve per poter studiare e poterlo fare bene.