ORE 10.00 DAVANTI AL TRIBUNALE-BICICLETTATA CON AZIONI DIFFUSE IN CITTA’
ORE 15.00 CORTEO-CONCENTRAMENTO PIAZZA GUERRAZZI
Si avvicina l’8 marzo e, come ogni anno, fuori e lontano dalla retorica della festività che ci celebra per un giorno, con lo sciopero intendiamo fare di questa giornata una giornata di mobilitazione, dando voce e spazio a chi, attraverso varie e differenti prospettive, mette a critica l’idea di città che, in perfetta continuità con il passato, cercano di imporre.
Ci rivolgiamo a chi vuole avere voce in capitolo, a chi vuole una reale partecipazione sulle decisioni e chiede programmi e progetti a misura di chi questa città la vive, l’attraversa, la produce e la riproduce. A chi si organizza e lotta per cambiare le cose, a chi vorrebbe farlo. A chi non vuole più accettare la prepotenza del potere politico ed economico che impone le proprie scelte sulla popolazione a salvaguardia solo di interessi privati e sempre degli stessi privilegi.
La città di Pisa vede, tra aperture e inaugurazioni di cantieri, cambiare il proprio volto, propagandando una “città del futuro” che si concretizza nella solita vecchia speculazione del mattone. Una Pisa lanciata verso il “2050” senza che le persone e le loro vite siano contemplate.
Nel progetto di città portato avanti dall’amministrazione, la medicina di prossimità significa affibbiare un nuovo nome, Casa della salute, a qualcosa di già esistente apportando, ad ora, solo disservizi all’utenza e soldi pubblici nelle tasche di privati. Tutto per non mancare le scadenze poste per il raggiungimento di passi progressivi di avanzamento lavori, determinanti per continuare a ricevere i fondi stanziati dal PNRR.
E questo mentre i presidi sanitari nei quartieri, vero luogo per la salute “prossimo” alla gente, vengono ridotti all’osso. Lo vediamo al CEP, in S.Giusto/S.Marco dove ormai i servizi offerti sono sempre più carenti rispetto alle reali necessità.
Viviamo in una città dove è presente un unico vero consultorio pubblico che non riesce, da solo, ad assolvere al ruolo a cui questi luoghi, nati dalle battaglie delle donne, dovrebbero essere deputati, determinando uno sradicamento dal territorio e un’assenza totale dai luoghi dell’educazione.
Intanto, ovunque, le liste d’attesa per visite ed esami specialistici si allungano all’infinito annullando di fatto il diritto di accesso alla cura nel SSN, spingendo sempre più a ricorrere ai privati, convenzionati o meno, mentre la carenza di personale medico-sanitario diventa strutturale.
Quella che oggi viviamo è una città che si fonda, a livello pubblico, sul lavoro esternalizzato a terzo settore e multiservizi. Amministrazione comunale ed enti locali, ospedale, università e scuole affidano sempre di più i servizi che non ritengono far parte della propria attività principale a ditte e cooperative, con gare a ribasso che ricadono su orari e retribuzioni del personale impiegato che, nella quasi totalità dei casi, è donna, confermando la sistematica immobilizzazione delle lavoratrici, che ad ogni gara di appalto vedono le loro vite sospendersi, in determinate mansioni e ruoli e ribadendo la svalorizzazione, economica e sociale, del lavoro riproduttivo e di cura attraverso precarizzazione e impoverimento.
La previsione di una nuova base militare a Coltano si andrebbe ad aggiungere alle altre basi/caserme/presidi per rendere la nostra città un vero e proprio hub per la guerra, andando a divorare altro suolo. E ancora, intorno a Pisa, altri territori sacrificabili dove si costruisce con materiale tossico e inquinante derivante dagli scarti/rifiuti dell’industria conciaria o in cui si vogliono riaprire discariche di rifiuti speciali nelle quali seppellire amianto.
E poi il centro, le vie del passeggio e del consumo. Gentrificazione e turistizzazione hanno, negli anni, stravolto il tessuto sociale stesso della città. Sempre di più, nelle case ci soggiornano i turisti mentre coloro che vivono, studiano e lavorano in questa città finiscono in case con affitti elevati in quartieri-dormitorio o albergat nell’attesa, lunghissima, che le graduatorie per le case di edilizia popolare scorrano.
Che le politiche abitative, che hanno valso a Pisa il titolo di “capitale degli sfratti”, e urbanistiche siano pura propaganda lo dimostrano il perpetuarsi di abbandono e incuria dei quartieri periferici con progetti e interventi casuali, come quello che riguarda Cisanello/Pisanova, o totalmente fallimentari, come la mancata riqualificazione di Sant’Ermete. O ancora progetti che sottraggono altro spazio comune, donando ai costruttori anziché restituire alla collettività.
Viviamo in una città dove fette intere di popolazione non hanno più diritto a vivere il centro cittadino, luogo di possibilità ormai solo per cittadinǝ-consumatorǝ.
Viviamo in una città da cui donne, soggettività non conformi e uomini vengono continuamente spintǝ all’esterno, schiacciatǝ ai margini.
Il concetto di sicurezza e di decoro è divenuto, nell’uniformarsi della narrazione ufficiale, senso comune e di appartenenza su cui fondare vecchi e nuovi stereotipi e pregiudizi. E ancora la pulizia, l’ordine, la buona educazione, la preservazione del bello o il ritenuto tale da chi si arroga il potere di decidere cosa non lo è.
Tutto ciò che crea linee contorte nel perfetto disegno-a-linee-dritte con cui si vorrebbe delineare la nostra città, va cancellato. E allora ci si arma di gomma: si cancellano scritte, graffiti, le voci di chi ha scelto di parlare; si cancella ciò che rappresenta “un problema”, spostando, nascondendo lə indesiderabili, le persone in difficoltà, lontano dall’ombra potente e virile della torre pendente. Si cancellano il nero, il giallo, e tutti i colori di cui è fatta l’umanità perché il centro non può che essere bianco.
Si cancellano i diritti di chi reclama una casa, un lavoro che non leda la dignità, l’opportunità di una reale autonomia economica, la possibilità di curarsi e di farlo in tempi utili, di poter mandare i propri figli e le proprie figlie in una scuola che sia pubblica e pronta ad accoglierli/e.
Si mortifica e colpevolizza chi è stato lasciato ai margini; si criminalizza la povertà.
Si silenzia la voce, si invisibilizza il corpo di chi, solo per il fatto di esistere, rappresenta una conflittualità
Si persegue chi esprime dissenso, si condanna chi non si lascia piegare e continua a resistere e lottare.
La città che apre e si apre a militari e forze dell’ordine di ogni sorta, sottraendo territorio alla popolazione e promuovendo percorsi formativi e orientativi nelle scuole finalizzati all’assimilazione della cultura bellicista, é la stessa città che impedisce nelle stesse scuole percorsi contro stereotipi e violenza. La città che desideriamo é antimilitarista e de-militarizzata, una città dove ci sia spazio per l’espressione di ogni bisogno e desiderio di chi l’attraversa.
Riprendersi il diritto alla città è riprendersi la possibilità di determinare il proprio agire politico in spazi e tempi non sovradeterminati. È incidere su “quale città ” vogliamo costruire
Una città dove poter intessere relazioni e interazioni che distruggano gerarchie e rapporti di potere e dalle quali far nascere una comunità fatta di persone con uguali diritti.
La nostra “città sicura” è una città dove tuttə condividono e usano liberamente lo spazio pubblico, attraversandolo e affollandolo con i propri corpi e le proprie storie. Strade illuminate, servizi accessibili, un cultura del consenso diffusa, insegnata a scuola, che contrasti la cultura dello stupro vigente.
La nostra “città vivibile” è quella che tutela la salute dellə cittadinə, intervenendo su tutto ciò che la determina (l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, la salubrità delle case in cui viviamo, la sicurezza e la tutela nei luoghi di lavoro); è una città che garantisce strade, marciapiedi, piste ciclabili, zone ciclo-pedonali e mezzi pubblici a nostra misura, per garantire a tuttə la possibilità di spostarsi, e che sa accogliere chi arriva da altri luoghi del mondo perché garantisce e sancisce quale diritto inviolabile la libertà di movimento di ogni essere umano.
La nostra memoria all’interno della città non è fondata sulla museificazione, la cristallizzazione del nostro presente nel passato, ma sulla testimonianza di esistenze rimaste sconosciute che ci spingono a immaginare un’altra Pisa ancora oggi: vogliamo strade e piazze intitolate alle donne della storia e alla storia delle donne, per ricordare conquiste e lotte per troppo tempo non raccontate. Vogliamo luoghi che ricordino chi, per il suo desiderio di giustizia, è stato assassinato dallo stesso potere statale che oggi abusa di noi.
Vogliamo una città che valorizzi tutto il lavoro riproduttivo e di cura e se ne faccia carico attraverso un welfare non familistico, che fornisca servizi (nidi e scuole d’infanzia, servizi scolastici ed extrascolastici, assistenza socio-sanitaria domiciliare), consentendo a chi se ne occupa all’interno della famiglia di alleggerire il proprio carico fisico, psicologico e fortemente emotivo e stabilendo, quando si tratti di lavoro retribuito, condizioni lavorative umane e dignitose.
Rifiutiamo l’individualismo verso cui ci spingono, nei quartieri, nei luoghi di lavoro e di formazione, nel modo stesso di attraversare la città, nell’idea che la felicità non sia realizzazione personale, ma perseguimento di giustizia sociale collettiva e collettivizzata.
Non vogliamo sottostare al paradigma meritocratico che premia “i migliori”, coloro che vanno avanti, che ce la fanno perchè hanno i mezzi per farcela, conferitigli dai loro privilegi. Vogliamo una città in cui nessunə viene lasciatə indietro.
Vogliamo una città inclusiva, socialmente ed ecologicamente giusta. Vogliamo una città transfemminista.
Questo 8 marzo attraverseremo piazze e strade per riprenderci, pezzetto dopo pezzetto, il nostro diritto alla città.
8M: SCIOPERO OVUNQUE! Nella città, per la città!