Ieri si è tenuto in tutto il mondo l’ottavo sciopero globale transfemminista. Anche a Pisa il movimento Non Una Di Meno ha organizzato passeggiate e cortei durante tutta la giornata, e la marea è tornata ad inondare la città.
Riportiamo qua una cronaca e alcune delle parole della giornata di ieri.
Fin dalla mattina persone di tutte le età si sono date appuntamento nei pressi del Comune, per andare ad esprimere la propria contrarietà alle iniziative del “Marzo Pisano” della giunta.
“Non fiori ma opere di welfare”, è lo slogan con cui sono entratə nel palazzo del Comune durante la distribuzione delle mimose alle dipendenti. Come ribadito più volte al megafono, si tratta di un’iniziativa imbarazzante, con la quale la giunta tenta di ripulirsi l’immagine mentre contemporaneamente taglia ogni misura di welfare, esternalizza i servizi, non dà fondi per le case popolari. Una trentina di persone sono anche riuscite ad occupare simbolicamente il balcone di piazza XX Settembre, per stendere due scontrini giganti, simbolo di quello che la città vuole e non vuole.
Uscitə dal Comune, la passeggiata è continuata verso le sedi del Tirreno e della Nazione, per puntare il dito contro le narrazioni tossiche che troppe volte vengono portate avanti dai media sui casi di violenze e femminicidi.
Il pomeriggio invece è cominciato con l’appuntamento delle 15.30 in Piazza Guerrazzi, dove fin da subito migliaia di persone si sono radunate per partire in corteo, il cui percorso quest’anno prevedeva di attraversare i Lungarni e i tre ponti principali della città. L’obiettivo dichiarato era di occupare quello spazio, risignificarlo insieme, per poterlo attraversare in maniera differente anche nella quotidianità di tutti i giorni. Migliaia di persone di tutte le età sono quindi partite in corteo, riempiendo ancora una volta nel giro di pochi giorni le strade della nostra città, e ancora una volta la partecipazione più attiva è stata quella dellə giovani e dellə giovanissimə.
Prima della partenza è stata fatta un’azione simbolica all’INPS, per accendere il focus sul cosiddetto bonus mamme sponsorizzato dal governo Meloni, riservato esclusivamente alle donne con più di due figlə.
Poco più avanti è stato puntato il dito contro le pubblicità delle associazioni antiabortiste, che hanno fatto la loro comparsa in città poco prima dell’8 marzo. “Mettere a rischio il diritto all’aborto significa mettere a rischio le nostre stesse vite: oggi, 8 marzo, ricordiamo che attorno a quel feto galleggiante, che tanto piace rappresentare agli antiabortisti, c’è il corpo di una persona vivente, senziente e capace di decidere per sé. Il diritto all’aborto è diritto alla vita”.
Un rimando importante è stato anche quello agli spazi alleati, su cui Non Una Di Meno ha fatto uscire pochi giorni fa un comunicato.
Su Ponte della Fortezza è stato calato un enorme striscione, con la scritta “Se ci fermiamo noi si ferma il mondo” a rimarcare il significato dello sciopero transfemminista, che ha ridefinito questa pratica dandole un ruolo inedito. “Nominare come lavoro quello che normalmente non viene definito come tale, e chiamare allo sciopero tutte quelle persone che storicamente sono state escluse da questa possibilità significa considerarle, a tutti gli effetti, delle lavoratrici, dei soggetti produttivi. Il nostro sciopero ci permette inoltre di politicizzare la violenza contro le donne in un modo che metta in discussione la vittimizzazione e il lutto permanente in cui i media e le istituzioni statali vogliono confinarci.” è stato detto.
Sotto la Prefettura invece ci si è concentrat sul tema della guerra, espressione più alta della violenza patriarcale, e della complicità dei nostri governi con l’escalation bellica in atto. È comparsa una grande scritta che recitava “Strike the war”, scioperiamo dalla guerra “perché se è vero che le guerre partono dai nostri territori, allora è proprio qui che abbiamo l’occasione di fermarle, di bloccare i loro meccanismi di morte, distruzione e devastazione dei territori e delle vite di chi li abita”.
Sul Ponte di Mezzo il corteo ha deciso di issare sul pennone una grande bandiera della Palestina, a rimarcare una volta di più la parte che ha deciso di prendere la città: quella contro il genocidio che Israele sta portando avanti.
“Rifiutiamo le narrazioni occidentali che vedono le donne palestinesi come donne da salvare, sottomesse ad una cultura considerata retrograda e primitiva.
Rifiutiamo le narrazioni islamofobe e razziste, che strumentalizzano i nostri corpi, gli stupri e i femminicidi per costruire una propaganda volta a giustificare il genocidio del popolo palestinese.” “Dobbiamo chiederci cosa possiamo fare per contribuire alla lotta di liberazione della Palestina, non solo dalle bombe ma dal regime di apartheid, dalla colonizzazione.
Oggi siamo scesə in piazza perché ci vogliamo vivə e liberə, ma dobbiamo avere chiara una cosa: non saremo liberə finché la Palestina non sarà libera.”
Sotto il Comune invece si è parlato ancora una volta del lavoro sociale, spesso iper-sfruttato e relegato alle donne.
“In Italia sono quasi 1 milione l lavorator delle cooperative sociali, eppure il contratto di queste cooperative che è appena stato rinnovato prevede ancora notti passive, banche ore e miseri aumenti salariali che non recuperano neanche l’inflazione, e la maggioranza di queste lavorator sono donne. Scendiamo in piazza oggi perché questa violenza economica e lavorativa colpisce in primo luogo le donne: perché il lavoro di cura e femminilizzato non ha riconoscimento e perché la nostra professionalità, invece di essere riconosciuta come tale, viene considerata un’inclinazione naturale.”
Sul Ponte Solferino sono state accesi 20 fumogeni, perché questo è il numero dei femminicidi accertati dall’inizio di quest’anno. “Oggi scioperiamo dalla violenza patriarcale sistemica che continua a ucciderci, annientarci e vuole farci vivere quotidianamente nella paura. Ma insieme vogliamo bruciarla questa paura. Stringiamoci, sorelle. Prendiamoci cura di noi. Difendiamoci. Perché per noi non lo farà lo stato, non lo farà la polizia, non lo farà nessuno. Difendiamoci per non essere le prossime. Difendiamoci perché non abbiamo altra scelta. Difendiamoci sorelle, manifestiamo, infuriamoci: che la lotta sia con tutta la nostra rabbia.”
Avvicinandosi al Rettorato è stato letto un intervento di alcune ricercatrici UniPi, per mettere in luce una volta di più la violenza del sistema formativo, e l’ipocrisia della patina rosa con cui tenta di avvolgersi.
“Da precarie ed ex ricercatrici transfemministe oggi ci dichiariamo in agitazione contro chi usa le nostre parole per renderle inoffensive, continuando nel frattempo a discriminare, a foraggiare le guerre e a riproporre le dinamiche gerarchiche e maciste. ll sapere femminista è di chi lotta per realizzarlo, non dell’arrivismo accademico e della competizione neoliberista. Sappiamo che il tuo richiamo al merito è menzognero, utile solo a nascondere le profonde discriminazioni di cui sei intessuta e grazie a cui ti rafforzi. Cara accademia, che la marea transfemminista possa sradicare i tuoi portoni, e che possa scorrerti sempre contro.”
Alle finestre del Rettorato sono stati attaccati due panuelos giganti, con due scritte che puntano il dito contro due delle facce più violente dell’università: “UniPi uccide con i suoi accordi di guerra”, “Ci umiliate, ci molestate, UniPi il violento sei tu”.
“E allora se Unipi ci offre una formazione violenta, che promuove solo competizione e prevaricazione, noi vogliamo costruire un’educazione al consenso, all’affettività, alla cura, un’educazione transfemminista.” veniva detto nel frattempo.
Il corteo è poi arrivato in Piazza dei Cavalieri, dove Pisa ha urlato ancora una volta la propria rabbia per quanto accaduto in quella stessa piazza due settimane prima, durante la manifestazione dell student per la Palestina. Ancora una volta è stato ribaltato il tentativo di infantilizzare lə manifestanti presenti quel giorno, ribadendo che si continuerà ad essere ovunque a supporto della Palestina, in ogni luogo e in ogni ambito della nostra vita. “L’abbiamo dimostrato quel venerdì mattina, il venerdì sera, e il sabato successivo: non possono fermare la marea che ha deciso di non voler più assistere alla complicità macchiata di sangue di ogni nostra istituzione nel genocidio che lo Stato di Israele sta portando avanti contro il popolo palestinese. Per ogni manganello noi saremo dieci, venti volte di più. Perché se loro vogliono punire il dissenso, noi costruiremo marea!”
A conclusione della giornata la manifestazione ha portato avanti l’azione collettiva dell’urlo muto.
La città ha dimostrato, per l’ottavo anno consecutivo, una grande partecipazione allo sciopero globale a testimoniare che le pratiche transfemministe, capillari e quotidiane, possono parlare a persone diversissime e ricomporre soggettività di ogni tipo. La marea transfemminista anche quest’anno ha inondato Pisa, portando avanti le proprie rivendicazioni, parole d’ordine e conflitti. Come Non Una Di Meno dimostra da ormai otto anni, però, non si fermerà di certo qui. Passato l’8 marzo continuerà ad attivarsi in ogni parte della città, dal centro ai quartieri popolari, dalle scuole alle università ai posti di lavoro, per ribaltare e distruggere la violenza patriarcale che domina tutti gli ambiti della vita.