Dal 1 gennaio 2015 è in vigore il nuovo sistema di calcolo dell’ISEE, il principale indicatore della condizione economica tramite il quale viene regolamentato l’accesso alle prestazioni sociali agevolate. Al di là della pubblicistica d’assalto della lotta ai “finti poveri”, ai “furbetti del welfare” di Poletti & Co., si tratta di una riforma in preparazione da tempo e che opera nel profondo. L’erogazione delle prestazioni welfaristiche viene ristrutturata nel verso dell’espulsione dalla sfera di idoneità a beneficiare delle prestazioni ricalcolando a rialzo la condizione economica. Secondo una stima del Sole 24 Ore, i patrimoni del 2015, a parità di condizioni reddituali oggettive con il 2014, risulteranno più cospicui dall’ 8% fino al 30% in base a parametri come il valore della propria casa calcolato sull’IMU, l’eventuale mutuo ad esso connessa, lo stipendio, il numero di figli e di anziani a carico. Secondo il coordinatore della consulta dei CAF, Valeriano Canepari, su proiezioni effettuate sulla base dei primi riscontri, la platea di coloro che usufruiscono di servizi e prestazioni legati alla situazione economica potrebbe ridursi del 20%. Insomma, come se all’improvviso, ci fossimo arricchiti e quindi cosa dovremmo farcene di borse di studio, contributi assistenziali, tariffe agevolate etc.?
Nel dettaglio il nuovo sistema prevede un forte ridimensionamento dell’autocertificazione delle informazioni e un’informatizzazione del calcolo e del controllo dei dati utili alla definizione dell’ISEE. Concretamente il dichiarante dovrà rivolgersi a un CAF per trasmettere i propri dati anagrafici compilando una Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU). La DSU potrà essere trasmessa anche per via telematica tramite il sito dell’INPS. I dati vengono acquisiti dall’INPS e dall’Agenzia delle Entrate e incrociati con le informazioni presenti nei database per determinare l’ISEE. Se dopo 15 giorni dalla presentazione della DSU il dichiarante non avrà ancora ricevuto l’attestazione potrà autodichiarare i dati per il calcolo dell’ISEE, esattamente come prima. Questo nuovo procedimento tende a smaltire l’intermediazione dei CAF che oggi veicolano all’incirca il 90% delle richieste. Non a caso a oggi restano bloccati i compensi corrisposti dall’INPS ai CAF per ogni richiesta ricevuta (circa 8 euro a domanda ISEE). In ogni caso la spesa totale dell’Inps per remunerare la collaborazione dei Caf sulla certificazione Isee non potrà superare per il 2015 i 76 milioni di euro. La situazione sta generando caos tra gli operatori e confusione tra gli utenti dei CAF.
Se si analizzano le principali novità del nuovo ISEE ci si imbatte innanzitutto in tre tipi di domande differenziate in base alla prestazione richiesta. Infatti, all’ISEE ordinario, si affiancherà un modulo ISEE università, utilizzabile per le prestazioni relative al diritto allo studio, un modulo per le prestazioni socio-sanitarie, con una variante riservata alle prestazioni socio-sanitarie residenziali, e un ISEE per le prestazioni agevolate rivolte ai minorenni figli di genitori non coniugati o non conviventi. Questa modularità risponde all’esigenza di individuare le caratteristiche specifiche del nucleo familiare di riferimento e quello effettivo al quale attrarre il soggetto richiedente le prestazioni assistenziali.
Tra le novità eclatanti del nuovo ISEE rientra la modifica del parametro di calcolo dei cosiddetti “risparmi”, ovvero i patrimoni mobiliari in depositi e conti correnti bancari e postali. Questi vengono valorizzati non più verificando il saldo attivo del conto al 31 dicembre ma considerando la giacenza media del conto stesso, considerando quindi la portata dei movimenti e non il risparmio accumulato. Al fine di contrastare le dichiarazioni leggermente falsate dal prelievo di qualche spiccio dal conto corrente alla scadenza del 31 dicembre, si opta per una considerazione dinamica della ricchezza, quasi redditualizzando il patrimonio.
Si tratta in fondo della stessa tendenza che descrive la vera truffa del nuovo ISEE: l’inclusione nel calcolo dell’indicatore anche delle somme fiscalmente esenti come assegni familiari, borse di studio, assegni sociali, indennità di accompagnamento, pensioni di invalidità. Sembrerebbe un curioso gioco delle tre carte in base al quale chi beneficia al momento di alcune prestazioni sociali, una volta conteggiato il valore reddituale di quelle stesse prestazioni, rischia poi di vedersene escluso. Come se se ne fosse arricchito.
Il registro retorico del contrasto alla “dipendenza da welfare” viene compiuto e tradotto fattualmente grazie a un’operazione concettuale più profonda. I redditi utili alla riproduzione sociale vengono assimilati a redditi da lavoro dipendente, pertanto come una fonte di accrescimento della ricchezza. L’apparato del welfare si tramuta in workfare nel considerare i costi della riproduzione sociale come costo del lavoro sociale per l’impresa del capitalista collettivo. Ad ogni modo l’incapacità di sostenere questo costo segnala un significativo punto di crisi e rottura nella tenuta sistemica di questa ipotesi e nei fatti questa dinamica punta piuttosto a centrifugare una fascia di povertà intermedia fuori dall’orbita del welfare state proiettandola verso circuiti di indebitamento. Con buona pace di tanti vagheggiamenti sulle possibilità di redistribuzione sociale della ricchezza tramite erogazione di un reddito minimo universale e garantito come opzione riformista sistemica in questa fase…
L’apparato welfaristico si ristruttura come strumento di intervento sulla povertà estrema a condizione che la domanda di assistenza si riduca e sia governata da criteri di economicità. I momenti valutativi, di cui l’attestazione ISEE rappresenta la soglia preliminare, hanno l’importanza fondamentale di circoscrivere e ridurre la platea di idonei ai servizi agevolati. Si accede alle prestazioni assistenziali quando non si ha più la possibilità di partecipare alla normale riproduzione capitalistica, quando non si può più pagare. Solo su questa “marginalità” interviene il welfare con il compito di reimmettere nel circuito della riproduzione sociale, del consumo. Restano aperte alcune variabili: come respingere il doppio ricatto dell’indebitamento connesso all’esclusione dai servizi e del disciplinamento connesso all’inclusione nell’assistenza? Quali figure tecniche, nonostante il processo di informatizzazione, ancora articolano questa segmentazione e come utilizzarle per organizzarsi sul terreno del diritto a non pagare rivendicando autonomia contro l’impoverimento?
da infoaut.org