Alcune centinaia di persone sono scese in piazza sabato pomeriggio a Pisa per il corteo “Mai più fascismi” indetto dall’ANPI. Lo diciamo senza girarci intorno: crediamo che una manifestazione come quella di sabato non metta minimamente in difficoltà le formazioni di estrema destra, mentre purtroppo rafforzi molto l’opzione del Partito Democratico; politicamente, un disastro.
Quando si prende parte a una mobilitazione, pur animati da valori genuini, sarebbe opportuno chiedersi a quale mulino si sta portando acqua. Proviamo a buttare nel piatto alcune riflessioni.
1a istantanea: “Se non ci siamo noi c’è la barbarie: Berlusconi, i grillini, i populisti… tornano le camicie nere”
Una tempistica sospetta. Da diversi mesi siamo assolutamente bombardati da notizie allarmistiche riguardo al rigurgito di formazioni neofasciste e xenofobe. Esiste davvero un allarme fascismo? Sì, esattamente come è sempre esistito in questo paese. I fascisti esistono, si organizzano, avanzano la loro proposta politica. Non è un fenomeno recente, ma solo nell’ultimo periodo è costantemente sotto i riflettori, o meglio, sotto la lente di ingrandimento e le proporzioni reali si perdono. Una voce dice: “è imprudente minimizzare”. Conosciamo il problema, la sua natura e portata ma è bene non avere le traveggole: difendere una memoria contro una storia di stragi, guerra e miseria significa rinnovarla e riattualizzarla. Per questo ci chiediamo cosa difendono questi antifascisti dell’ultima ora? La bandiera dell’antifascismo, ampia e condivisa (fin troppo, forse) è usata ai fini di una precisa operazione politica.
Le “istituzioni democratiche” che invocano la Resistenza per un paio di fumogeni lanciati davanti alla sede del giornale Repubblica, sono le stesse che per anni hanno coperto le aggressioni, le violenze e gli OMICIDI (Dax a Milano, Renato Biagetti a Roma, Samb Modou e Diop Mor a Firenze, solo per citarne alcuni) commessi recentemente dai neofascisti nel nostro paese, derubricando il tutto alla retorica dello “scontro fra bande”, degli “opposti estremismi”, senza mai chiamare il problema col proprio nome e identificarne la matrice politica. Hanno promosso la riconciliazione nel meccanismo democratico invece della lotta per ripulirlo da ogni fascismo.
Adesso però questi soggetti istituzionali, in primo luogo il Partito Democratico, zittiscono tutti e si fanno unici garanti dell’ordine democratico e per difenderlo salgono sugli scudi: si avvicinano le elezioni, come farsi preferire se non evocando il rischio di un male maggiore? Ecco dunque cos’era il corteo di sabato: un vergognoso corteo elettorale del Partito Democratico, nascosto dietro la velata minaccia: “ricordatevi che se non scegliete noi vi ritroverete governati da fascisti e populisti”. Osiamo essere blasfemi: l’antifascismo fu conquista della democrazia, antifascismo non è difesa di chi vuole intestarsi la democrazia. L’antifascismo non ha niente a che fare con questa democrazia che non funziona.
2a istantanea: “Se non trovi lavoro è perché non ti sbatti abbastanza, io ho sessant’anni ne ho visto di gente che si è fatta il culo e ce l’ha fatta… e allora è colpa tua. C’è crisi, la crisi c’è per tutti”.
Chi produce il neofascismo? Non bisogna minimizzare. Non bisogna rimuovere. Bisogna distinguere però, questo sì. C’è un ordine politico che produce odio tra persone che si trovano nelle stesse difficoltà, e c’è chi su questa guerra tra poveri costruisce la propria opzione politica: contro i nostri simili, contro gli ultimi, per la gioia di chi ci governa. I primi alimentano il neofascismo i secondi sono i neofascisti. Il più evidente limite del corteo di sabato è che non danneggiava i neofascisti ma soprattutto non comunicava nulla a chi è investito dal discorso neofascista. I proclami e le belle parole non hanno mai convinto nessun uomo o donna rabbiosi dalla disperazione.
È vero: le tensioni sociali, la xenofobia, la sofferenza popolare aumentano nei periodi di crisi. Viene da chiedersi allora come sia possibile fermarla sfilando con i soggetti politici che questa crisi l’hanno prodotta e che su questa crisi continuano a speculare. Il PD è il partito del Piano Casa, che smantella e disincentiva l’edilizia popolare alimentando il problema abitativo a beneficio della speculazione immobiliare; è il partito del Jobs Act, della precarizzazione più selvaggia di ogni forma di impiego; è il partito della disoccupazione giovanile e dell’abbandono delle periferie. In sostanza è il soggetto politico che costruisce l’habitat all’interno del quale la xenofobia e il razzismo si sviluppano. Come può essere, dunque, nostro alleato nel risolvere un problema chi questo problema lo ha, volontariamente, prodotto?
Vorremmo allora chiedere quali aspetti del fascismo potrebbero essere considerati i più nefasti dalle centinaia di persone che hanno manifestato sabato? Le guerre coloniali in Africa e Albania che tanta morte e disgrazia hanno procurato? Le leggi liberticide che in maniera discrezionale colpivano gli oppositori politici con fogli di via e confino? L’appoggio all’orrore dei lager nazisti? Perché, al di là della legittima e importantissima memoria storica, è giunto il momento di guardarsi intorno e provare ad attualizzare questa memoria.
In questo momento è il Governo del PD a programmare l’ennesima guerra coloniale in Africa (in Niger). Nel frattempo, su indicazione di Minniti, centinaia di persone in Italia subiscono daspo e fogli di via, per via amministrativa e senza alcun processo, pagando spesso per le proprie idee politiche e per la partecipazione alle lotte sociali. Ma soprattutto con i trattati italo-libici recentemente firmati dal Governo, l’Italia si è resa materialmente complice allo scempio che sta accadendo il Libia, finanziando di fatto la costituzione di lager dove uomini e donne quotidianamente vengono torturati, stuprati, venduti come schiavi e ammazzati.
Antifascismo, per noi, non è difesa delle stesse istituzioni che producono la povertà e conseguentemente il consenso fascista. Chiunque si associ oggi nella difesa di queste istituzioni e dei valori – democrazia, lavoro, uguaglianza, diritti, progresso etc. – di cui impropriamente queste si dicono portatrici a parole (ma che hanno tradito nei fatti) non fa che allontanarsi dalla realtà umana e sociale che quotidianamente subisce il peso di questo tradimento. Con loro, invece, va costruito il nostro antifascismo; con chi lavora a cinque euro l’ora e non ha mai avuto benefici da un sindacato, con chi, in difficoltà a pagare l’affitto, viene tentato dalla retorica del “prima gli italiani”, con chi magari non è avvezzo alla partecipazione a un corteo, ma sicuramente non dividerebbe un metro di marciapiede con Filippeschi.
3a istantanea: “So’ comunista così…”.
I partecipanti (in buona fede?) del corteo. Tanti dei partecipanti al corteo di sabato sicuramente erano lì animati dalle migliori intenzioni, davvero decisi a opporsi alle possibili derive xenofobe e razziste. Tanti magari condividono il nostro disprezzo per le politiche del Partito Democratico ma hanno comunque pensato di fare fronte contro un male peggiore.
Per contro tantissimi gruppi organizzati hanno scelto di vestire la maschera dell’ipocrisia e prendere parte alla sfilata di sabato. Alcuni giorni fa, con un comunicato coraggioso, il sindacato studentesco Sinistra Per (che pure all’inizio era tra i promotori del tavolo antifascista) si è smarcato dalla manifestazione, sostenendo che, comunque, non era accettabile scendere in piazza con Filippeschi e col PD. A questa presa di posizione ne sono, purtroppo, seguite altre assolutamente penose. Quella di Una Città in Comune o del collettivo il Nodo, per fare un paio di esempi; fiumi di parole, lunghi voli pindarici, per provare a motivare la schizofrenia di chi sale sul carrozzone dei carnefici che ha combattuto (o dichiarato di combattere) fino al giorno prima.
Ci sono momenti in cui bisogna avere il coraggio di prendere una decisione netta; e invece ci si nasconde dietro ai “nonostante” per provare a tirare un colpo al cerchio e uno alla botte, per marciare al seguito del gonfalone di Filippeschi ma volendo comunque mantenere un piede nell’ambito del movimento e dell’opposizione sociale. Già il fatto di doversi giustificare pubblicamente per la partecipazione a una piazza del genere mette a nudo la pochezza del gesto.
“Al momento di marciare
molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.”
Bertold Brecht