Ieri eravamo davanti al tribunale di Torino, insieme a centinaia di persone, per sostenere le imputate del processo “Sovrano”. Una sentenza storica ha assolto tutti dall’accusa di associazione a delinquere, smontando pezzo dopo pezzo una macchina repressiva che da anni cerca di criminalizzare il movimento No Tav, l’Askatasuna e lo Spazio Popolare Neruda.
Questa inchiesta, partita nel 2019 con un dispendio scandaloso di risorse pubbliche in intercettazioni e sorveglianze, è sempre stata un castello di carte. Prima hanno provato a parlare di “associazione sovversiva”, poi di “associazione a delinquere”, infine hanno dovuto arrendersi all’evidenza: non esiste alcun programma criminale, solo persone che lottano contro grandi opere inutili e difendono i territori dalla devastazione. Ma mentre in tribunale le accuse crollavano, fuori si scatenava una vergognosa campagna mediatica: intercettazioni estrapolate dal contesto, battute private trasformate in scandali, un vero e proprio linciaggio morale per dipingere i e le militanti come soggetti pericolosi.
Dietro questa persecuzione ci sono interessi precisi. La Torino-Lione, opera faraonica piena di infiltrazioni mafiose, ha bisogno di eliminare ogni opposizione. Un governo sempre più autoritario deve dimostrare di saper “tenere l’ordine“. Media compiacenti trovano nel sensazionalismo antisovversivo un modo per fare audience. Ma ieri la sentenza ha detto chiaramente che tutto questo non regge.
Per noi essere lì non era solo solidarietà. Era affermare che Askatasuna, il Neruda e il movimento No Tav rappresentano una resistenza popolare legittima. Che quando si difende un territorio dalla speculazione o si occupa una casa per chi non ha dove vivere, non si commette un crimine ma si pratica giustizia sociale. La repressione non si fermerà – lo dimostrano le nuove leggi securitarie e l’inasprimento delle condanne per i reati minori – ma neppure la nostra determinazione.
Questa vittoria è un segnale importante, ma la partita è ancora aperta. Dobbiamo continuare a costruire reti di lotta, studiare le nuove forme di controllo e contrastarle (dalla sorveglianza digitale alla guerra cognitiva), mantenere un legame forte con chi subisce le stesse ingiustizie.
Perché come ci ricorda questa sentenza, quando la lotta è collettiva, neppure i tribunali possono fermarla.
Dagli attacchi alle lotte torinesi agli infiltrati nei movimenti spagnoli, abbiamo analizzato le strategie repressive e le risposte dei movimenti.
Qui l’introduzione al documento “Movimenti sociali, disciplina statale e controllo preventivo”, presentato il 27 marzo al Newroz.
Il dossier completo è disponibile alla Libreria Popolare Paulo Freire.