Praticamente un plebiscito. Con 144 voti favorevoli su 149 il referendum del 3 giugno ha sancito la totale aderenza del progetto del comitato agli umori e i bisogni dell’intera comuintà degli abitanti delle case popolari del quartiere. Ma, più in generale, segna un punto di non ritorno nella lotta che da anni un pugno di persone relegate in una periferia abbandonata da tutti, conducono contro un’idea di città basata sull’esclusione e la speculazione.
Le periferie al centro
Le periferie sono da un po’ di tempo tornate al centro del discorso politico e giornalistico; narrate come luoghi dell’abbandono istituzionale, possibili serbatoi di tensioni sociali, da più parti viene dichiarata la necessità gestirle o migliorarle. Non c’è neanche un candidato, fra i dieci che si contendono la poltrona di futuro sindaco di Pisa, che non abbia inserito la rivitalizzaione dei quartieri popolari all’interno del suo programma. E’ dalle periferie, nelle metropoli del resto d’Italia, come Roma e Torino, che sono giunti i più significativi segnali di sfiducia nei confronti del ceto politico. Il conflitto urbano periferia-centro è un tema talmente sdoganato dall’essere approdato anche sul grande schermo del cinema nostrano, come ad esempio (rappresentato in maniera macchiettistica e stereotipata) nel recente film di Antonio Albanese e Paola Cortellesi, “Come un gatto in tangenziale”.
Ma cinque anni fa, quando in Sant’Ermete hanno iniziato a svilupparsi i primi focolai di rivolta, non erano ancora scoppiate le tensioni di Tor Sapienza a Roma, e il Piano Sgomberi non aveva ancora infiammato i quartieri di Milano; e, soprattutto in una realtà urbana relativamente piccola come quella pisana, si poteva ancora credere che la tanto decantata “smart city” potesse di riflesso portare qualche miglioramento anche lontano dal centro. Nonostante la disoccupazione, nonostante la povertà, nonostante la crisi economica.
Tutto ciò in Sant’Ermete aveva la forma di un progetto riqualificazione, su cui il PD ha basato ben due campagne elettorali nel quartiere, che avrebbe dovuto portare all’abbattimento di tutti gli alloggi ERP, tra i più vecchi di Pisa, e la costruzione di case nuove. Case nuove per tutti, berciavano sindaco, assessore alla casa e funzionari dell’Apes, tra modellini e bottiglie di spumante.
E hanno continuato a berciare per anni, nonostante il progetto non si muovesse di un passo, nonostante fossero “spariti” 10 milioni di euro già stanziati, nonostante l’unico lotto di case nuove edificato fosse costruito a risparmio, con gravissime carenze strutturali.
Hanno continuato a berciare finché una forza collettiva non li ha costretti a smettere; la determinazione del comitato e degli abitanti di Sant’Ermete, determinazione fondata e alimentata da quella promessa tradita di una riqualificazione a lungo attesa e mai realizzata, di uno spiraglio di benessere che sarebbe toccato anche agli abitanti dimenticati del quartieraccio al di là del cavalcavia.
Cosa è successo in cinque anni è difficile da riassumere in poche righe; assemblee, cortei, occupazioni, presidi con le tende, scontri, blocchi del cavalcavia, esonero dell’affitto. Referendum.
Il referendum di quartiere
Il referendum di domenica sancisce quindi un passo avanti della lotta di Sant’Ermete. E’ stata la presa di coscienza collettiva del fallimento di una promessa durata dieci anni; ma è anche stato un momento costitutivo, una nuova promessa costruita dal basso, poggiata sulla volontà di conquistare gli strumenti per soddisfare i propri bisogni, di ri-disegnarsi come comunità di quartiere.
La partecipazione al referendum è stata straordinaria, quasi l’80% degli aventi diritto (tutti i maggiorenni residenti nelle vecchie case popolari di Sant’Ermete); e ciò è stato possibile perché l’intero referendum è stato costruito a partire dai bisogni di quel segmento di popolazione. Bisogni riconosciuti collettivamente in cinque anni di lotta, che hanno aiutato a riemergere dalla melma del quotidiano e prendere coscienza dei propri diritti violati: no al sovraffollamento, messa in sicurezza del cavalcavia, spazi sociali e sanitari accessibili a tutti, diritto a un alloggio dignitoso.
Non è certo la pratica di infilare un foglietto nell’urna che ci porta a definire quanto avvenuto come democrazia di quartiere; anzi, fin troppo spesso il meccanismo del voto ha significato solo delega e rinuncia a esercitare il proprio potere. La democrazia, il “potere del popolo”, in Sant’Ermete si sta sviluppando a partire dall’autorganizzazione, dalle pratiche di autonomia e, soprattutto, da un conflitto permanente con l’amministrazione e la governance, che vuol dire lottare anche contro tutte le contraddizioni riversate e interiorizzate nel proprio territorio.
In quest’ottica il referendum ha semplicemente sancito un rapporto esistente con chi pretende di governare Sant’Ermete e i suoi abitanti. Da domani si torna a lottare, perché nulla è stato ancora conquistato.
Fra pochi giorni a Pisa si voterà per eleggere il nuovo sindaco, ma Sant’Ermete ha dato la sua indicazione alle urne con una settimana di anticipo. Poco importa chi sederà sulla poltrona di Palazzo Gambacorti, in quel quartiere l’unico cambiamento possibile passa dalla lotta.