Questa mattina si è svolta la conferenza stampa lanciata dall’assemblea delle donne in lotta che ieri sera ha dato vita alla mala Servaven Jin occupata (casa delle donne che combattono), nome che si rifà alle lotte delle donne kurde. La struttura di proprietà del Comune è stata costruita con i fondi vincolati dalla legge martelli come centro di prima accoglienza per migranti. Nel 2013 ol comune e la società della salute mettono in campo un progetto di ristrutturazione tramite un investimento di 640 mila euro per cui la struttura è stata chiusa. Nessun lavoro é mai stato eseguito e anni di abbandono hanno reso la struttura una “bomba igienica”. Le occupanti denunciano questo stato di abbandono e incuria dei beni pubblici, lanciando i primi due giorni di pulizie collettive per domani e sabato. Domenica è invece lanciata l’assemblea cittadina alle ore 18.
Di seguito il comunicato diffuso dall’assemblea delle donne in lotta.
Contro violenze e schiavitù, combatteremo per diritti, dignità ed autodeterminazione!
La mobilitazione dell’ 8 marzo, ha rappresentato una tappa fondamentale per noi, donne, che lottiamo da anni contro la subalternità che viviamo nelle nostre vite; per rompere quei taciti patti che abbiamo firmato fra le mura domestiche, dove siamo relegate per un ruolo precostituito a prenderci cura di figli, partners e anziani, annientando la nostra autonomia decisionale fino a subirne anche le conseguenze fisiche, quando tentiamo di riappropriarcene. Libertà di scelta che si fa doppiamente difficile, se complici e autori di queste violenze sono anche le istituzioni, che ci privano delle condizioni e degli strumenti necessari a creare e portare avanti la nostra indipendenza, sottoponendoci a giudizi e umiliazioni per avere le briciole che ci elargiscono.
Nella giornata dello sciopero globale transfemminista lanciato dalla rete argentina Ni una Menos, abbiamo trovato spazio per portare noi stesse e le nostre lotte, con la stessa voglia di riscatto di tutte quelle donne che si sono mobilitate in più di 40 paesi al mondo.
Siamo scese in piazza come donne che rifiutano di sottostare ai ricatti e alle sofferenze quotidiane delle nostre vite, che rifiutano le umiliazioni sui posti di lavoro e dal sistema dei servizi sociali. Noi donne che ci troviamo schiacciate dall’ansia di rincorrere una via d’uscita dalla nostra situazione d’emergenza trovando soluzioni durature e concrete ai nostri problemi, liberandoci insieme dall’oppressione che viviamo, individuando e fermando i responsabili. Abbiamo attraversato le strade della nostra città, i luoghi che troppo spesso visitiamo a testa bassa, con lo sguardo di chi ha solo da accettare la propria condizione. Lo abbiamo fatto a testa alta, così come facciamo da un po’ di tempo a questa parte, con lo spirito di chi sa che unite possiamo trovare le risposte che nessun altro ci può dare.
Per questo non siamo rimaste in silenzio davanti ai nostri datori di lavoro che ci pagano una miseria, si arricchiscono sulle nostre spalle e arrogantemente ci minacciano se proviamo a rifiutare i loro carichi di lavoro insostenibili. Non siamo rimaste in silenzio davanti alle numerosissime case vuote sparse per la città, mentre i nostri proprietari ci sfrattano se con i nostri miseri stipendi non riusciamo a pagar loro affitti spropositati. Non siamo state in silenzio davanti a delle istituzioni che, incapaci di darci soluzioni, ci dirottano come pacchi da un ufficio all’altro, facendoci umiliare e prostrare per farci riconoscere la nostra miseria e ricevere degli aiuti che non sono altro che elemosina o carità.
Le nostre vite precarie e instabili le vogliamo cambiare e lottando abbiamo cominciato a farlo. La giornata di ieri, 8 marzo, è stato un momento importante per condividere con tutti e tutte la voglia che abbiamo di riscattarci, di poter vivere felici e libere, di decidere delle nostre vite, di rispedire la sofferenza ai responsabili. Con questo spirito, da passionarie che non mollano mai, abbiamo riaperto questo spazio: un ex centro di accoglienza per migranti, di proprietà comunale, abbandonato da anni all’incuria e al degrado. Uno stabile chiuso e lasciato marcire dal Comune che, contemporaneamente, ha spostato il punto di accoglienza in un altro immobile in affitto, più piccolo.
Ora vogliamo, come donne, costruire insieme questo luogo, rinominandolo “Mala Servanen Jin Occupata” che in lingua curda significa “Casa delle Donne che combattono”, per richiamare le lotte di emancipazione e autodeterminazione delle combattenti curde che si oppongono allo stato islamico e alle sue barbarie, dando vita a una nuova società. Una casa dove noi donne vogliamo dare vita ad uno spazio collettivo dove ridefinire noi stesse, le nostre vite, difendere e riconquistare la nostra dignità. Uno spazio che sia anche una casa per le donne in emergenza abitativa.
Vi aspettiamo tutte e tutti domenica 11 marzo alle ore 18 per la prima assemblea pubblica e aperta, perché la marea che ieri era in piazza possa infrangersi e abbattere gli scogli che invano cercano di fermarla.
Assemblea delle Donne il Lotta – Mala Servanen Jin Occupata
Casa delle Donne che combattono