Si sono appena conclusi tre giorni di mobilitazione promossi dalle donne in lotta della Mala Servanen Jin per porre l’accento sulla doppia discriminazione a cui sono sottoposte molte donne sole nel mercato degli affitti.
Da tempo i comitati di questa città evidenziano i malfunzionamenti del servizio sociale nel garantire il diritto alla casa. Molto spesso le famiglie in emergenza abitativa si trovano rinchiuse in un vortice di in cui servizi, agenzie immobiliari e proprietari si scaricano reciprocamente le responsabilità; il risultato finale è una vera e propria impossibilità di accedere al mercato degli affitti, anche per chi usufruisce di contributi e sussidi.
Tra le categorie più discriminate in questo meccanismo ci sono le donne con figli a carico; per questo negli scorsi giorni si sono svolti dei presidi e dei volantinaggi alla Società della Salute e presso le agenzie immobiliari.
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Pubblichiamo di seguito le emblematiche storie di tre donne coinvolte in questa protesta (i nomi sono alterati, le vicende drammaticamente vere).
Anna dal 2017 vive in una casa di 30 mq con cucina e bagno e una stanza da letto dove dorme insieme ai suoi 4 figli. C’è la caldaia, ma non ha mai funzionato. Finestre e porte sono vecchi, in inverno entrano gli spifferi, in estate gli insetti. C’è umidità, i muri sono scrostati. Il suo figlio più grande è asmatico, c’è la relazione del pneumologo dell’ASL che ammonisce sul continuare a vivere in un ambiente così malsano. Anna si è rivolta ai servizi sociali per avere un aiuto nella ricerca di alloggio: pur avendo diritto al contributo per la morosità incolpevole nessuna agenzia le fa un contratto di affitto. E i servizi sociali, anziché farsi da garanti con i privati per una nuova abitazione, continuano a versare 500 euro al mese al proprietario.
Luna vive in una stanza di un affittacamere alla periferia della città. Quando è entrata qui 3 anni fa i servizi sociali le avevano assicurato che sarebbe stata una soluzione temporanea, di emergenza. E invece ancora oggi in 5 vivono stipati in una stanza dove i tre figli, di cui uno con gravi problemi cardiaci, non hanno lo spazio per giocare né per studiare, tanto meno per ospitare amici. Non c’è la lavatrice, deve usare la lavanderia a gettoni, ogni giorno. Il bagno è in comune con le altre persone che popolano la struttura e così la cucina e questo significa fare i turni per entrare, pulire ogni giorno e più volte al giorno (e tuttavia rischiare ogni volta di contrarre malattie), fare la spesa ogni giorno perché i pensili della cucina sono poco spaziosi e il frigorifero sarebbe sufficiente appena per una coppia di due persone! Per questa singola stanza la Società della Salute paga mensilmente 1500 euro al mese, il prezzo di mercato di una casa di 200 mq!
Michela vive in una stanza di affittacamere in quartiere di Pisa. È entrata più di sei mesi fa, insieme al compagno e alle tre figlie, di cui due neonate. Viveva in una condizione di sovrafollamento nella casa parentale, con problemi di vivibilità per un suo parente disabile. Il servizio sociale l’ha mandata in questa struttura perché le graduatorie dei bandi per l’edilizia pubblica sono impantanate. Vivono in 5 in una stanza, con muffa e perdite di acqua dal soffitto, l’umidità rischia di compromettere la salute dei bambini. La lavatrice è sempre rotta. Il regolamento non concede visite nè per i bambini nè per la madre aumentando la fatica e la sofferenza. Non ci sono spazi per il gioco e compiti dei bambini.
Le loro storie, assieme a quelle di tante altre di noi, sono ciò che ci fanno capire quanto ancora dobbiamo combattere, quanto, insieme, abbiamo ancora tutto da conquistarci.