Un appuntamento previsto per le 11 di questa mattina, come tanti sono quelli che le famiglie concordano con i propri assistenti sociali per essere “aiutati” in caso di difficoltà economica, ha scatenato il panico dei dirigenti della Società della Salute e dell’assessore Capuzzi. Quello che non è stato gradito è il rifiuto della famiglia ai ricatti e alle umiliazioni che le sono stati fatti.
Una madre con il proprio figlio si è recata in via Saragat per incontrare l’assistente sociale. Questo di stamani era l’ottavo incontro. Il problema da affrontare è quello relativo ad un emergenza abitativa. Mamma e figlio sono intestatari di una casa popolare che però hanno dovuto temporaneamente lasciare per alcune dinamiche familiari che non specifichiamo. Fatto sta che il servizio sociale, “sensibile” alle questioni di genere, ha subito messo in campo (a parole) un percorso per collocare il nucleo familiare per un periodo temporaneo in un alloggio privato. Gli assistenti sociali garantivano il pagamento della caparra in cambio però la famiglia doveva trovarsi la casa in un agenzia immobiliare e fornire la documentazione del proprio reddito.
La famiglia in questione si è subito attivata e da una ventina di giorni aveva consegnato il modello Isee e la proposta di locazione di un alloggio che costa 550 euro al mese. In totale l’agenzia immobiliare chiedeva 2000 euro di acconto, tre mensilità più la propria parte. Questa mattina stava alla Società della Salute concretizzare ciò che aveva proposto (come percorso da percorrere) e promesso (il pagamento).
Quando durante l’incontro di stamani l’assistente sociale ha staccato un assegno di 1000 euro (metà della cifra richiesta dall’agenzia) la famiglia ha chiesto spiegazioni al Servizio. “Questo è tutto quello che possiamo fare, il resto dovete trovarlo voi”. Nel pomeriggio era previsto il pagamento delle 2000 euro all’agenzia.
Di tutta risposta la famiglia che impossibilitata a trovare il resto dei soldi, ha deciso di non lasciare l’ufficio della sua assistente sociale come le era oltretutto stata invitata a fare. “Ci state umiliando e prendendo in giro! Dove credete che troviamo 1000 euro in un giorno… Oltretutto abbiamo anticipato 200 euro per fermare la casa, se adesso non portiamo i soldi della caparra perdiamo la casa e le 200 euro!”
Gli assistenti sociali si sono alzate e hanno lasciato l’ufficio, al loro posto sono entrati agenti della Digos chiamati dalle stesse dipendenti della Società della Salute che piuttosto che mantenere le proprie promesse preferiscono chiamare la polizia.
Alla richiesta di uscire fuori della polizia, la famiglia, sostenuta da due membri dell’associazione per il diritto alla casa, ha espresso la volontà di non andarsene finchè una soluzione non venga trovata.
Dopo un’ora è successo qualcosa di assurdo: l’assessore al sociale Capuzzi ha fatto evacuare il piano terra della struttura per problemi di ordine pubblico e minacciato di denunciare le quattro persone che attendevano risposte per interruzione di pubblico servizio. Le assistenti sociali sono state mandate via. Quelle che si sono rifiutate sono salite al secondo piano continuando a lavorare.
La situazione era paradossale: al piano terra completamente svuotato c’era la famiglia determinata ad avere risposte e sette agenti della polizia. I dirigenti della Società della Salute non volevano parlare. Soltanto alle 16 (dopo 5 ore di attesa e urla) l’assistente sociale ha staccato un assegno parziale con la promessa che tra qualche giorno arriverà la seconda parte della cifra da consegnare all’agenzia immobiliare. Soldi che saranno prestati dalla Caritas ma che rivorrà indietro, un prestito come viene fatto in banca ma da un ente caritatevole.
Quello che oggi è accaduto in via Saragat è molto grave: conferma l’incapacità della politica di dare risposte alle persone in difficoltà economica. L’assessore Capuzzi non sa fare altro che chiamare la polizia e farla intervenire nella struttura che dovrebbe garantire un servizio di integrazione al reddito. Gli assistenti sociali svolgono il ruolo di “dirigenti di banca” più che dipendenti pubblici; concedere del denaro non è un aiuto per sanare una situazione oggettiva di difficoltà, ma fa parte di un meccanismo perverso che incentiva un non vero senso di colpa, come se questa concessione va in qualche modo ripagata in termini di riconoscenza verso chi lo da e in termini proprio di denaro.
Ma quando qualcuno si oppone al meccanismo, il sistema va in tilt, gli assistenti sociali scappano, l’assessore chiama la polizia.
Quello che è accaduto oggi non è una novità. Questa scenette sono all’ordine del giorno. L’unica differenza sta nell’atteggiamento di chi va a chiedere. Se di fronte a queste umiliazioni si accetta questa condizione di impotenza e di subalternità l’unica cosa che rimane da fare è uscirsene a testa bassa con niente in mano e abbandonati al proprio destino. Quello che rimane da fare è alzare la testa, rifiutare questo rapporto e ribaltarlo, mettersi nella condizione di non subire più. Le risorse ci sono. Quello che tocca fare è pretenderle.