Le mobilitazioni di genitori, insegnanti, bambin* continuano in tutta Italia tra scioperi della Didattica a Distanza e manifestazioni di piazza. L’ultimo giorno di scuola in tantissime città sarà nuovamente un giorno di mobilitazione per il diritto all’istruzione. A Pisa Non Una di Meno ha lanciato l’invito ad appendere cartelloni ai cancelli delle scuole e un presidio all’Ufficio Scolastico Provinciale.
Dopo aver pubblicato la testimonianza di Rossella, maestra precaria della nostra città, di seguito proponiamo quella di Francesca, mamma di un bambino della scuola primaria a Pisa.
DPCM del 4 marzo 2020: sono sospese tutte le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado a partire dal 5 marzo. E’ mercoledì sera, ci riorganizziamo velocemente annullando appuntamenti e trasferte, e chiedendo un permesso orario per i due pomeriggi successivi. I nonni, proprio loro che insieme a noi si sono presi cura di nostro figlio fin dai tempi del nido, questa volta non possono essere coinvolti: la zona rossa del Covid è vicina, se il virus ha fatto più di ottomila chilometri in poche settimane, in poche ore potrebbe essere qui, e chi ha superato i settanta anni è a rischio. Sì, siamo ancora concentrati sul pericolo per gli anziani, non prevediamo tutto quello che sta per accadere, e anche il decreto che vieta gli assembramenti e ci costringe ad annullare le iniziative dell’8 marzo ci sembra una misura forse un po’ eccessiva adottata da un governo troppo allarmista.
Venerdì 6 arriva la prima di numerose lettere che la maestra scriverà quotidianamente alla classe, l’ultima sarà del 27 marzo, ultimo giorno di didattica ‘per schede’ prima della partenza della didattica a distanza.
Le lettere offrono spiegazioni su letture e compiti che vengono assegnati quotidianamente, invitano bambini e bambine a contattarla telefonicamente, ma al tempo stesso incoraggiano all’organizzazione del tempo in attività che non sono più scandite dalla scuola: non solo fare i compiti, ma anche mettere in ordine la camera, cucinare, giocare (da soli per chi non ha fratelli e sorelle), leggere, e poi anche scrivere un diario in cui raccontano questo strano periodo. Come noi adulti, e forse anche più di noi, bambini e bambine hanno la chiara percezione di vivere un momento ‘epocale’, uno di quelli di cui rimarrà traccia non solo nei manuali di epidemiologia, ma anche nei libri di storia e di letteratura.
E prima che le pagine dei loro diari diventino testimonianza e fonte primaria per chi ricostruirà questo periodo storico, quelle pagine diventano il collante più forte della classe: ogni giorno la maestra estrapola i racconti di alcuni e li condivide nella sua lettera con gli altri, che anche a distanza condividono pezzetti di vita dei loro compagni e compagne..
Con il DPCM dell’11 marzo inizia il cosiddetto ‘lockdown’: non solo le scuole non riaprono, ma anche noi iniziamo a lavorare da casa in ‘lavoro agile’. Improvvisamente abbiamo consapevolezza che il virus è arrivato, e non colpisce solo gli ultrasettantenni.
Quella che pensavamo fosse una routine provvisoria diventa un’organizzazione stabile della famiglia: un po’ a turno, ogni mattina scarichiamo lettera e materiali dal PC, stampiamo e consegnamo a nostro figlio di 9 anni che si siede alla sua scrivania e in autonomia svolge i compiti. Nel pomeriggio facciamo le scansioni di schede compilate, pagine del quaderno e del diario, convertiamo in PDF e inviamo di nuovo alla maestra per email.
La maestra, che in maniera puntuale corregge compiti a qualsiasi ora del giorno e della notte, rimanda le correzioni che di nuovo stampo e consegno a mio figlio. Questo per due settimane fino a quando tutta la procedura sarà spostata su una piattaforma per la didattica a distanza dove la classe può recuperare un rapporto diretto, dove è di nuovo possibile guardarsi in faccia e sentire la voce degli altri. Così è per noi.
Sì, tutto questo per noi è facile. Il nostro principale strumento di lavoro è il computer, e con il lavoro agile tutta la dotazione dei nostri uffici è stata facilmente spostata a casa: portatili, monitor, tablet, stampante inclusi cavi e cavetti vari. Abbiamo trasferito anche due scrivanie, per un totale in casa di tre, due in una stanza da letto e la terza in sala. Siamo in una zona in cui abbiamo anche la superfibra per accedere alla rete Internet, quindi nessun problema a stare connessi in due, anche in tre.
Ma chi non ha un PC, un tablet e magari ha solo un cellulare (di un genitore)? Chi non ha una connessione Internet? Chi non solo non ha una scrivania, ma non ha neppure lo spazio per aggiungerla? Quando il tavolo della cucina che è già un piano di appoggio di stoviglie e masserizie diventa anche il banco di scuola di tuo figlio? Quando tua figlia non ha una sua stanza e deve seguire una lezione on-line o fare i compiti immersa nei rumori della casa?
Come si organizzano dove ci sono due, magari anche tre figli che frequentano classi diverse? Penso siano poche le famiglie dove c’è un dispositivo ad uso esclusivo di una persona, e anzi so bene che spesso un singolo tablet o computer deve essere condiviso tra fratelli e sorelle, o anche con un genitore.
In questi mesi ho sentito di genitori che rompevano il confinamento per andare a stampare i compiti al tabacchi più vicino a casa, di altri che per non costringere il figlio alla lettura dei documenti dallo schermo del cellulare copiavano a mano le consegne, ma anche di grandi gesti di solidarietà tra genitori, tra genitori e insegnanti, organizzati in staffetta, e a turno, per fare le stampe e consegnare le schede e i compiti a compagni e compagne di classe dei propri figli che, appunto, non avevano gli strumenti necessari per ‘fare scuola’.
E in assenza di computer in comodato d’uso (nel nostro Istituto tante circolari sulla privacy, nessuna sulla richiesta di dispositivi digitali) c’è anche chi ha attivato collette per acquistare dispositivi per la didattica a distanza e sempre ‘a distanza’ ha istruito bambini di dieci anni alla configurazione di una rete wireless, all’installazione di una o più applicazioni per poter partecipare alle classi online. Ore e ore al telefono a spiegare ogni singolo passaggio: altro che nativi digitali! Se non hai mai avuto accesso ai dispositivi digitali perché a scuola c’è solo un computer o una LIM per tutta la classe (quando non per tutta la scuola), e a casa non hai alcun dispositivo, sulla carta sei della generazione digitale, ma poi l’assenza di pratica ti rende più incapace degli ‘immigrati digitali’.
E la domanda è: dov’è stata la Scuola in tutto questo periodo?
Non parlo delle insegnanti che anzi spesso si sono mosse in autonomia, senza attendere circolari o disposizioni dirigenziali, e per garantire una continuità (di relazione, prima che didattica) con i loro alunni, li hanno raggiunti anche con una semplice telefonata, e che in poche settimane hanno imparato a utilizzare piattaforme digitali che fino al giorno prima non facevano parte dei loro strumenti di lavoro.
E’ evidente che la Scuola, quella con la S maiuscola, quella dell’art. 34 della Costituzione, non è stata presente, o meglio, non è stata presente allo stesso modo per tutta la popolazione studentesca.
La Scuola non è stata in grado di garantire “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”, e l’interesse verso quello che dovrebbe essere uno dei settori più importanti della società è stato per il governo secondario rispetto a quello dedicato al rilancio del mercato.
(In un’ottica assolutamente capitalistica i nostri governanti sembrano essersi scordati che il rilancio economico di un paese passa anche attraverso gli investimenti pubblici e privati nella ricerca. E investire in ricerca significa investire prima di tutto in istruzione!)
La realtà è che il diritto all’istruzione non è garantito in egual misura in situazioni ‘normali’ e quindi in emergenza esplode in tutta la sua violenza, con il rischio di lasciare una ‘cicatrice generazionale’ che solo con un forte impegno potrà essere rimarginata.
A fronte della mia esperienza positiva di una classe ‘solidale’ leggo che in alcune zone quasi la metà degli studenti non ha avuto accesso alla DaD.
E anche per chi la DaD l’ha fruita nella pienezza dei mezzi, voglio solo accennare alla difficoltà di gestire la propria formazione in autonomia quando hai tra i 6 e i 10 anni. Non è facile negli alti gradi di formazione, non lo è nelle classi della scuola primaria. Non è così per mio figlio che può contare sul supporto di noi genitori, lo è ancora meno per chi a casa non ha alcun supporto.
Per bambini e bambine con situazioni familiari precarie – per condizioni economiche, per origine, o per condizione sociale – la scuola è spesso l’unico contesto in cui hanno relazioni esterne a quelle familiari, dove apprendono regole e comportamenti della società in cui vivono, dove possono fare sport, musica o altre attività alle quali non potrebbero accedere perché troppo onerose. La scuola è talvolta il luogo in cui fanno un pasto completo al giorno. E tutto questo è venuto a mancare in questi mesi di emergenza, ampliando il divario tra chi ha e chi non ha, marcando una condizione di subalternità che se in presenza poteva essere mascherata, è ora visibile a chiunque sappia guardare.
Per tutto questo penso che a settembre le scuole debbano riaprire!
Partendo dal rispetto del diritto alla salute del personale della scuola, del distanziamento, delle linee guide dell’Istituto Superiore di Sanità, delle linee guida del MIUR ancora oggi inesistenti, ma la scuola deve ricominciare, e dovrà essere migliore di prima!
E perché sia migliore non posso che pensare che devono sparire la ‘classi pollaio’ di 28 alunni, che venga assunto nuovo personale docente, che vengano fatti investimenti nell’edilizia scolastica, nella ristrutturazione degli edifici esistenti e nella costruzione di nuovi (a Pisa l’edificio scolastico più recente è stato costruito negli anni ‘80), che vengano fatti investimenti per la digitalizzazione (ma lontano dalle logiche di mercato).
E questo dovrà essere solo lo scheletro per costruire intorno una nuova didattica, nuovi saperi, e una nuovo modello di scuola e di società che non lasci più indietro nessun*.
Tutto questo posso augurarmi per mio figlio, per tutte le figlie e i figli che costruiranno il mondo di domani.