Il 15 novembre ha segnato l’inizio di una mobilitazione contro la precarizzazione e i tagli alle suole, all’università e alla ricerca. A Pisa, migliaia di studentə, ricercatorə e lavoratorə hanno riempito le strade per denunciare le conseguenze della Riforma Bernini e l’insostenibile riduzione dei fondi destinati al diritto allo studio.
Mentre si finanzia la militarizzazione con milioni di euro, i poli chiudono, i laboratori restano obsoleti, e le condizioni di lavoro peggiorano. Scioperare e bloccare è oggi un atto di responsabilità collettiva per un’università libera e dignitosa.
Durante la manifestazione di fronte al Rettorato, il Rettore Zucchi è intervenuto dal camion per salutare gli studenti e tentare di discolparsi dai tagli omettendo la propria responsabilità con l’industria bellica, il governo stesso e la CRUI, guadagnandosi un patetico applauso alla testa del corteo ma anche le contestazioni, l’incredulità e il disorientamento del resto della piazza. Non sorprende che chi rappresenta l’istituzione universitaria, dopo anni di silenzio davanti alla destrutturazione dell’Università italiana, provi oggi a riposizionarsi in un clima di crescente tensione sociale. Dove era Zucchi durante i tagli sistematici all’ateneo? Quali risposte ha dato alle richieste degli studenti di rompere i rapporti con le università israeliane in un anno segnato dal genocidio in Palestina?
La piazza non dimentica e non si lascerà abbindolare da dichiarazioni di facciata tardive e ipocrite.
In questo senso è stato rilanciato dalla piazza la costruzione dello sciopero generale del 29 Novembre.
Di seguito il comunicato del Collettivo Universitario Autonomo:
Nelle ultime settimane in tutta Italia tantissime persone si sono mobilitate contro la nuova riforma del Pre-Ruolo della Ministra Bernini e contro i tagli all’università e alla ricerca che ad oggi ammontano a 500 milioni di euro. Anche a Pisa oggi, 15 novembre, migliaia di persone hanno sfilato per le vie del centro città.
La riforma Bernini dà un’accelerata alla precarizzazione e privatizzazione del mondo dell’Università e della Ricerca, eliminando molti concorsi pubblici e di conseguenza prestando il fianco al sistema di competizione sempre più violento e a collo di bottiglia. Le nuove figure di ricerca introdotte e la formulazione del pre-ruolo non fanno che aggravare la già martoriata situazione della ricerca universitaria e della formazione accademica. Moltə ricercatorə assuntə grazie ai fondi del PNRR non vedranno i loro contratti rinnovati.
Stiamo già vivendo le prime conseguenze dei nuovi tagli di mezzo miliardo di euro.
L’Università di Pisa ha infatti in programma di tagliare sul portierato, pulizie, biblioteche e tutti i servizi esternalizzati, nei quali l’università ha il diritto di rimuovere il 20% al contratto anche se è già in atto.
I tagli di UniPi si stanno già dando nelle retrovie, facendoli passare in sordina. Il dipartimento di Chimica infatti da più di un mese viene chiuso un’ora prima ogni giorno e il Polo Fibonacci, che veniva aperto tutti i sabato mattina per fare esami e lezioni, ora è chiuso.
Ci sarà un grosso taglio al sistema informatico d’ateneo, che implicherà licenziamenti e un peggioramento di tutta la gestione informatica. L’università non pagherà più le licenze di alcuni programmi fondamentali per la didattica e la ricerca e il numero delle borse di dottorato sarà ridotto all’osso. A Fisica è già stato notificato che non saranno più finanziate le spese per rinnovare i laboratori didattici di triennale e magistrale, che resteranno dotati di una strumentazione obsoleta.
Questi sono solo i primi passi, possiamo solo immaginare quali saranno le conseguenze di questi tagli che vedremo nel corso del prossimo anno.
L’Università fa ricadere la scarsità di finanze sui servizi allə studentə, continuando a nascondersi dietro la retorica del “ho le mani legate”. Molti sono i soldi che vengono sperperati per nuovi poli per le conferenze esclusive e per belle sfilate nel panorama accademico mondiale. Migliaia di euro vengono spesi per catering ed eventi lussuosi, spesso con personaggi accademici che hanno relazioni con aziende o governi direttamente coinvolti con crimini di guerra e violazioni dei diritti umani come il genocidio del popolo palestinese.
UniPi, con queste sue spese, ha creato un buco di bilancio di milioni di euro negli ultimi anni, ma intanto sono incrementati i costi delle mense, diminuiti i posti nelle residenze, aumentati a dismisura gli idonei non beneficiari di borse di studio; la didattica è sempre più scarna di strumenti; i poli universitari, come il San Rossore, cascano a pezzi.
Nel decidere quali servizi appaltare, il sistema della cura viene relegato in secondo piano rispetto alle attività considerate “essenziali”, come la didattica e il lavoro dei docenti ordinari. Questo porta ad esternalizzare soprattutto il lavoro riproduttivo – di pulizie, mense, portinerie ecc. -, spesso svolto da donne e persone migranti. L’Università scarica la responsabilità della sua riproduzione su terzi, deresponsabilizzandosi anche delle condizioni di lavoro del personale, sempre più precario, ricattato e sfruttato.
Nel loro bilancio di “costi-benefici”, il diritto allo studio per lə studentə e le condizioni di lavoro dignitose per lə dipendenti non fanno profitto e non sono un “beneficio”. Per questo, continuano a tagliare sulle nostre vite.
L’Accademia, a livello nazionale, ha preso una via ben chiara da molto tempo. La Riforma Bernini ed i nuovi tagli danno un’ulteriore spinta verso la privatizzazione e l’annientamento del diritto allo studio universitario, fornendo come unica possibilità il finanziamento della ricerca e degli studi da parte di aziende private. Ma quali sono gli studi che le aziende sono interessate a finanziare? quelle che portano profitto. E così le nostre ricerche vanno in mano ad aziende come Leonardo SPA, ENI, Rheinmetall, che hanno interesse nel portare avanti ricerche in ambito bellico e per fini estrattivistici. Mentre 500 milioni vengono tagliati all’Università, 520 milioni sono dati per certi solo per la costruzione della base militare dei GIS e Tuscania sul territorio pisano. Quindi, i soldi che ci vengono sottratti vengono reindirizzati nelle mani di chi produce la guerra.
Contro la macchina bellicista, della precarietà, del profitto che è l’università, non ci basta sfilare per le vie della nostra città. Vogliamo fermare la riforma, vogliamo bloccare gli ingranaggi della macchina.
PER QUESTO NOI SCIOPERIAMO
Scioperiamo perché i nostri studi, il nostro lavoro di ricerca, sono ciò che manda avanti gli ingranaggi dell’Università-Azienda.
Scioperiamo perché, come ci insegna il movimento Non Una di Meno, “se ci fermiamo noi si ferma il mondo”.
Scioperiamo per ottenere aule studio, poli dignitosi, mense accessibili, per unirci e decidere di quali spazi abbiamo bisogno, per organizzarci contro i ricatti dell’Università e la miseria che ci vuole imporre.
Scioperiamo perché vogliamo opporci collettivamente a politiche che minacciano il nostro futuro;
Scioperiamo perché vogliamo 520 milioni di euro – e molti di più – per un’università e una ricerca libere e dignitose, non per una nuova base militare sul nostro territorio.
La nuova riforma Bernini mira a trasformare ulteriormente l’università in un luogo asservito alle logiche aziendali e competitive, marginalizzando il sapere critico e rafforzando disuguaglianze. Bloccare l’università significa fermare un sistema che sfrutta lavoratorə e studentə, sottraendo spazi di autonomia e di formazione e ricerca libera.
In questo momento bloccare l’università è la nostra responsabilità. Un’università patriarcale, capitalista e bellicista, che quotidianamente ci riduce spazi di libertà, ci sfrutta e ricatta a favore del profitto delle aziende.
Il 29 novembre sarà sciopero generale. Scioperare per noi significa organizzarci insieme affinché l’Università, il Governo e le istituzioni che continuano a tagliare sulle nostre vite abbiano chiara una cosa: se ci togliete quel poco che abbiamo, e per riprenderci ciò che ci spetta, non ci resta che bloccare tutto!