A cosa pensano i nostri governanti quando parlano di “partecipazione”? E’ evidente che per loro questa è solo una parola vuota; la usano per riempirsi la bocca, per farsi belli in pubblico, ma l’unico ruolo che immaginano per i cittadini è quello di sudditi. Basti pensare a come funzionano nella nostra città i CTP (Consigli Territoriali di Partecipazione, cioè le ex-circoscrizioni): non hanno rappresentanti eletti, ma solo nominati dal Comune; non amministrano un budget specifico per affrontare i problemi dei quartieri o delle aree di riferimento; non hanno potere decisionale ma solo consultivo (cioè solo chiacchiere). In sostanza servono a trasmettere sul territorio le decisioni già prese dal Comune, e aggirare eventuali obiezioni della cittadinanza. Bell’esempio di partecipazione… E’ così che negli anni sono state imposte varianti urbanistiche, colate di cemento, devastazioni dei territori e speculazioni di vario tipo, soprattutto nelle aree periferiche della città.
Ma qualcosa sta cambiando; negli ultimi mesi abbiamo visto nascere comitati di quartiere ed associazioni che si organizzano, dal basso, per proporre il proprio modello di città. Una città basata sull’estensione dei diritti, invece che sulla rendita e la speculazione; dove la sicurezza si costruisce con quartieri più vivibili e servizi invece che con telecamere e posti di blocco. Abbiamo visto comitati di quartiere dare il via a cantieri per mostrare quali sono i veri problemi da risolvere nel proprio territorio; abbiamo le famiglie in emergenza abitativa che, guidate dal proprio “sindaco del popolo” con tanto di fascia tricolore, tagliavano il nastro delle case sfitte, reclamando il proprio diritto ad abitarle.
Queste azioni di protesta hanno sicuramente un intento provocatorio: rappresentano la necessità di colmare i vuoti lasciati da un’amministrazione di incapaci e collusi. Ma hanno anche un significato più profondo: la volontà da parte dei cittadini di non subire decisioni di altri, di prendere in mano il proprio futuro, di essere partecipi nelle decisioni riguardo ai propri bisogni. E’ questa l’unica vera forma di “partecipazione” e si costruisce nella lotta.