Ieri pomeriggio tre famiglie in emergenza abitativa, da tempo “parcheggiate” in affittacamere in situazioni ormai non più sostenibili, si sono recate ai servizi sociali chiedendo un incontro. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la sospensione (a causa dell’incompatibilità del regolamento comunale) della graduatoria con cui speravano di ottenere un alloggio. L’assessore alla casa Gianna Gambaccini, presente sul posto, non ha voluto incontrare le famiglie, fuggendo fra le proteste.
I FATTI
Mercoledì 29 maggio più di 50 persone si sono ritrovate in via Saragat, presso la sede della Società della Salute, per accompagnare alcune famiglie costrette a vivere in affittacamere privati pagati dal servizio sociale; da mesi chiedono di porre fine all’agonia di vivere “in galera” dentro gli affittacamere, e aspettano – per ottenere finalmente una casa – risposte dalle istituzioni in merito al blocco della graduatoria provvisoria degli alloggi di emergenza abitativa.
Queste famiglie sono andate alla ricerca di un incontro, atteso da mesi e previsto per la giornata di ieri, con i responsabili della gestione dell’emergenza abitativa, in particolare l’Assessore alla casa Gianna Gambaccini. L’attuale amministrazione, infatti, in questi mesi ha promosso un regolamento di emergenza abitativa che, sotto la bandiera del “prima gli italiani”, affermava di: risolvere il sovraffollamento tra gli assegnatari di case popolari di Sant’Ermete; penalizzare le famiglie non nate in Italia obbligando solo loro a produrre una documentazione molto costosa e difficile da recuperare (i certificati di impossidenza); sbarrare l’accesso ai servizi sociali a coloro che non avessero da almeno due anni la residenza continuativa nel comune di Pisa.
Ma oltre a discriminare e penalizzare una larga fetta di “richiedenti” (per liberare risorse), dalla nuova giunta ci si attendeva anche qualche “politica espansiva”. Qualche finanziamento, qualche investimento, qualche progetto supportato da finanziamenti. A gennaio 2019 infatti esce “il bando di utilizzo autorizzato”, una nuova regolamentazione per l’accesso a degli alloggi di emergenza abitativa. Si parla di una ventina di case da dare subito entro marzo, in concomitanza con l’uscita della graduatoria. Più di centocinquanta famiglie fanno richiesta, hanno cioè bisogno urgente di una casa di emergenza. Una parte di queste, vive – male – negli affittacamere privati pagati dalla Società della Salute, cioè dalla collettività.
UN PASSO INDIETRO
Le famiglie che oggi hanno riversato agli uffici di via Saragat il disagio causato dal cattivo abitare, fanno parte di quel grande gruppo di nuclei che beneficiano di una risorsa prevista dal regolamento di emergenza abitativa, i cosiddetti affittacamere. Si stima che su Pisa in media ci siano costantemente dalle 30 alle 50 famiglie che, a causa della crisi economica e della difficoltà “a stare sul mercato privato degli affitti”, sono perennemente alloggiate in Bed and Breakfast, pensioni, alberghi, affittacamere privati. A causa di sfratti, evacuazioni dei vigili del fuoco, problemi familiari, queste famiglie si rivolgono al servizio sociale in cerca di un aiuto per ottenere un alloggio, in particolare una garanzia per trovare una casa in affitto sul mercato privato; o un alloggio di emergenza, scelto tra le migliaia di abitazione che Apes, Comune, ma anche Regione, enti previdenziali e ciò che rimane del patrimonio statale lasciato incredibilmente all’incuria.
Come mai allora ricevono come soluzione solo quella più dispendiosa per le casse e i bilanci pubblici e più gravosa per le condizioni di chi ci va a vivere? Infatti la sofferenza è una drammatica costante di tutti coloro che sono costretti dal servizio sociale, pena stare sotto un ponte, ad accettare di entrare a vivere in una camera di albergo. Una soluzione che dovrebbe essere “tampone”, ovvero emergenziale e temporanea, e invece si trascina per settimane, mesi, anni. La media del costo a camera è di 45 euro al giorno. Risultato? Centinaia di migliaia di euro l’anno spesi per delle camere, di proprietà di privati, gestiti da società il cui obiettivo è il Business, e non certamente la risoluzione dell’emergenza abitativa. Quello toccherebbe allo Stato.
OLTRE AL DANNO, LA BEFFA
Invece lo Stato non fa da garante con privati per la ricerca di contratti di affitto sul mercato privato (l’agenzia casa è praticamente morta); non assegna alloggi di emergenza abitativa (a parte l’utilizzo per anni come “discarica” del quartiere di Sant’Ermete); non approva progetti di autorecupero su immobili pubblici in disuso; non finanzia investimenti di riqualificazione di lotti popolari. Nella pratica. In teoria sì: con cadenza mensile si susseguono conferenze stampa ed inaugurazioni di nuovi (e vecchi) piani di investimento.
Ad oggi ancora niente, e soprattutto la realizzazione del poco annunciato si frantuma nell’inerzia degli apparati dirigenti incapaci, ad oggi, di andare oltre lo spot, ma di seguire invece l’intero processo, confrontandosi con tutti gli attori “investiti”. Il caso della graduatoria di “utilizzo autorizzato” ha fatto traboccare il vaso. A famiglie che in media vanno 2 volte a settimana dall’assistente sociale, per mesi, anni, che vivono in difficoltà facendo sacrifici inimmaginabili per coloro che ricoprono ruoli di potere, viene promesso che a marzo uscirà una graduatoria con cui poter finalmente ottenere un alloggio, ma la graduatoria viene bloccata proprio a causa dell’incompatibilità tra legge regionale e regolamento comunale. Per decine e decine di persone che soffrono la mancanza di casa, italiani e non, è solo l’ultima di una lunga serie di assurdità, la goccia che fa traboccare il vaso.
LE SOLUZIONI CI SAREBBERO
In Sant’Ermete ci sono circa 30 abitazioni del comune lasciate vuote, a marcire. Se non fosse per chi ci vive, che se ne prende cura oltre le proprie competenze, per responsabilità e impegno, in quel quartiere continuerebbe a esserci legionella, scabbia, infestazioni, sporco. Lo scorso sabato, circa cento abitanti della zona hanno dato vita al consueto appuntamento bimestrale del “consiglio di quartiere”. Tema: come continuare lo stato di agitazione che per 6 settimane ha bloccato il cavalcavia per protesta contro la mancanza di ascolto da parte delle Istituzioni. Solo due giorni prima l’Apes – ente gestore delle case popolari – durante un sopralluogo a seguito del cambio alloggio di una famiglia, aveva devastato l’ingresso dell’appartamento, bucando il muro e la porta per inserire un catenaccio da bicicletta. Non soddisfatti, andandosene, avevano lasciato aperte finestre e persiane dell’appartamento, preda di piccioni, pioggia e altre infiltrazioni. Nessuna considerazione per i beni pubblici.
E’ così che il bisogno degli inquilini di queste vecchie case popolari di non veder maltrattato e spopolato il proprio quartiere si è incrociato con il disagio di quelle famiglie che aspettano da anni una casa, dormendo in 5 in una camera di affittacamere, senza privacy, senza spazio, senza bagno o cucina a propria disposizione. Perché accettare lo spreco di denaro pubblico riversato nelle casse di privati, quando i sono tantissimi alloggi lasciati abbandonati? Il progetto “comunità di quartiere”, votato nel referendum di un anno fa e poi ripetutamente presentato, dà una risposta a entrambe le domande.
L’INCONTRO
Perciò nella giornata di ieri il quartiere di Sant’Ermete ha sostenuto “gli albergati”. Le famiglie hanno portato dei dossier con testimonianze delle gravi problematiche di chi vive negli affittacamere, un riepilogo della spesa assurda sostenuta dal servizio sociale, il percorso e le domande presentate nel tempo ai vari uffici, con tanto di documentazione fotografica a sostegno dell’incompatibilità tra il bisogno di casa di un nucleo familiare e la vita dentro un affittacamere. Nei vari colloqui svolti tra le famiglie e il servizio sociale, quest’ultimo ha più volte segnalato la mancanza di risposte adeguate ai bisogni delle famiglie, lamentando “la mancanza di case”. All’ovvia constatazione che di case comunali vuoti ce ne sono a centinaia, il solito ritornello “lo sappiamo, ma a noi non le danno”. Perciò anche gli assistenti sociali hanno chiesto ai propri responsabili di dare le risposte in merito al blocco della graduatoria, e all’utilizzo in emergenza abitativa delle case comunali. Ad oggi senza successo.
Dopo un’ora di attesa e di presa di parola delle famiglie, in attesa che uscisse l’Assessore, questa ha chiamato il marito per farsi scortare fuori, senza che ce ne fosse alcun bisogno ovviamente. Tutte le persone aspettavano un semplice incontro nell’atrio, nel mentre l’Assessore era nascosta dietro le scale. E’ andata via così, con la rincorsa, dicendo che non aveva niente da dire, col marito che insultava e derideva le famiglie in emergenza abitativa. La sola pretesa della gente presente che le regole devono valere per tutti, anche e soprattutto per chi ha un ruolo di direzione delle politiche pubbliche, è bastato per far tremare quei palazzi di vergogna.
Di fronte all’assenza di risposte, gli “albergati” promettono battaglia.