Tra quelli, come Calenda, che chiedono l’estrema unzione auspicando un superamento del PD e gli ostinati, come Martina, impegnati a trovare la pietra filosofale del consenso, delle idee e dei volti nuovi arriva la disfatta elettorale anche in Toscana. La realtà sprofonda nel baratro il Partito Democratico incapace di far valere la clientela e il suo sistema di potere e controllo sul territorio contro l’onda lunga del voto di vendetta e di rivalsa nei suoi confronti. Più liquidi di così… si evapora!
Pisa, Siena e Massa dopo i ballottaggi passano al centro destra. Si tratta di un voto storico e altamente simbolico: Pisa e Siena non erano mai state perse dalla sinistra in epoca repubblicana. Comunque la si metta e al netto della mistica sui venti nuovi si tratta di un vero cambiamento. Quanto invece alla gradazioni cromatiche se il rosso è sbiadito da tempo non sfumato certo nel giallo: nella partita delle amministrative toscane il Movimento 5 stelle è letteralmente sparito dando immediata restituzione in sede amministrativa degli esiti dello sposalizio governativo con la mantide leghista: sedotti e fagocitati. La scarsa affluenza conferma che il sistema-toscano – cooperativistico, associazionistico, imprenditoriale – ha perso prima di tutto la fiducia della suoi “clienti”. Un decennio di crisi, ruberie e spending review hanno contratto le capacità redistributive (costruite soprattutto sul meccanismo creditizio) di un modello di controllo del territorio del quale è rimasta a galla solo la padronale arroganza di chi è stato abituato a sentirsi “intoccabile”.
A dare il cambio un personale politico notarile, appartenente per lo più alle vecchie compagini delle destre locali. Candidati goffi, spesso balbettanti sono stati però investiti da un doppio movimento: dall’alto, la spinta delle locomotiva leghista di cui alcuni Pasdaran del ministro dell’Interno si sono fatti rappresentanti prendendo letteralmente per mano, come a Pisa, un candidato fantoccio, e dal basso dagli umori di un’intolleranza popolare bisognosa di discontinuità culturale e di nemici politici: “i tromboni della vecchia politica” e il corollario di problemi a questi associati dall’insicurezza sociale alla minaccia dello straniero. Ma a ben vedere, facendosi forza dell’a lupo a lupo della mentalità di sinistra, la costruzione del nemico è depurata dai tratti più marcatamente reazionari. Giusto un frame: Edoardo Ziello, deputato leghista classe ‘92 della provincia di Pisa e vero artefice della campagna elettorale di Michele Conti, spingeva il voto al ballottaggio tramite video-selfie dai tetti dei palazzi popolari della periferia pisana, circondato dai residenti delle case popolari abbandonati dall’amministrazione, lanciava invettive “contro i poteri forti”, contro i gestori “abusivi” della cosa pubblica. Un buon marketing che rinuncia a parlare alla città di tutti, ma parla a una parte di città contrapposta a un’altra… per poi, certo, governarla tutta.
Il centro sinistra dal canto suo ha passato gli ultimi giorni di campagna elettorale pretendendo di entrare nel merito dei problemi ma… sul campo definito dall’avversario politico. Una rincorsa disperata sui temi della sicurezza, dell’abusivismo della gara a chi, nei fatti, ha sgomberato più campi rom. Eppure mancano i destinatari specifici del messaggio che compaiono, all’altezza dello strato dei ceti responsabili e in grado di capire, solo al momento dell’estremo appello alla difesa dei valori culturali e di “sinistra” della città. Un’élite sociale difesa dal mondo delle élites politiche: Gentiloni, Martina, Veltroni… la peste bubbonica. No, non si vince con quella attaccata.
Cambio della guardia dunque che nell’immediato dovrà fare i conti con l’effetto del ciclone leghista che disarticola comunque una grammatica politica in cui quello che prima non si poteva dire ora è concesso. Confusione e spaesamento, denunciano alcuni. In fondo non si tratta che dell’esaurirsi dell’ipocrisia della stessa dialettica separativa della paralisi democratica e del suo gioco: ciò che era permesso e ciò che non lo era purché preservasse la riproduzione di un sistema di governo e controllo sociale. Non ci sono più limiti. L’accettazione sociale del razzismo non è più un limite invalicabile, così come non lo è la Toscana per le destre.
Ma se i vecchi limiti non offrono più alcun riparo non basta un nuovo linguaggio per costruire un altro ordine di gerarchie di valori. Questi vanno ancorati a una materialità dei fenomeni: l’inaccettabilità di una condizione proletaria deve nominare i nemici suoi propri per gli interessi suoi propri. Perché in realtà questi nuovi scenari senza confini di ciò che politicamente è ammissibile presentano lo stesso conto a tutti, anche e soprattutto a chi ora li sta abbattendo questi limiti: ciò che cambia rapidamente in superficie è ostaggio di una volubilità estrema, ma chi governa deve comunque preservare una tenuta profonda dei rapporti di gestione del territorio in riferimento ai vincoli di spesa o alla capacità redistributiva del sistema per potersi riprodurre come rapporto di gestione del territorio. La Lega amministrerà, salterà qualche poltrona ma non tutto il salotto. Faranno quadrare i conti, faranno pagare il conto anche a una parte di quel popolo che li ha investiti di questo voto vendicativo aderendo ai loro valori. Nuove separatezze si produrrano.
Quanto saremo in grado di spingere in profondità questi nuovi solchi?