I tagli già annunciati all’Università non sono che l’inizio di un processo che, con la legge finanziaria 2025, ridimensionerà drasticamente il sistema dell’istruzione pubblica e i servizi collegati. È un’anticipazione dell’economia di guerra che pesa sul settore pubblico, trasformando quello che dovrebbe essere un investimento per il futuro in un ulteriore sacrificio a beneficio di logiche di austerità e di grandi interessi imprenditoriali.
La farsa del “siamo tutti sulla stessa barca”
Le recenti dichiarazioni del rettore Zucchi di Unipi e della sua cerchia dimostrano chiaramente che non tutti condividono le stesse responsabilità o gli stessi sacrifici. La retorica del “siamo tutti docenti” si infrange di fronte alle scelte che condannano lavorator* e student* a pagare il prezzo di decisioni politiche che privilegiano interessi lontani dalle reali esigenze della comunità accademica.
Un esempio lampante riguarda i tagli alle esternalizzazioni, con 800 ore settimanali in meno negli appalti di pulizie e portierato. Questo significa:
- Decine di posti di lavoro a rischio.
- Riduzioni delle ore per tutti i dipendenti coinvolti.
- Aumento insostenibile dei carichi di lavoro per chi rimane, che dovrà sopperire alle mancanze condensando le attività in un tempo ridotto.
Questa politica non si limita a colpire chi lavora negli appalti, ma si riflette anche sugli student* e sull’organizzazione dei poli universitari.
Riduzioni delle ore e chiusure: un’università a mezzo servizio
Le ripercussioni dei tagli porteranno alla riduzione delle ore di apertura di poli essenziali come: Scienze della Terra, Economia, Scienze Politiche, Veterinaria, La Sapienza, Ingegneria e Scuola Medica.
Questi tagli non solo limitano l’accessibilità alle strutture, ma compromettono la fruizione stessa degli spazi, aggravando le difficoltà logistiche e didattiche per la componente universitaria. A ciò si aggiungono le chiusure temporanee di musei e spazi culturali d’ateneo, come L’Orto Botanico, il Museo naturale di storia naturale dell’università di Pisa e altri.
Tali decisioni impoveriscono ulteriormente il valore culturale dell’università, riducendo la sua capacità di fungere da centro di conoscenza e scambio per l’intera comunità.
Tagli al bilancio d’Ateneo: dove colpisce la scure
Dalle proposte emerge un quadro desolante:
- Riduzione dei fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture.
- Contrazione del budget destinato ai servizi studenteschi, incluse borse di studio e agevolazioni.
- Riorganizzazioni forzate che impongono un ulteriore accentramento delle attività, con conseguente perdita di autonomia dei dipartimenti.
Durante l’ultima riunione del Senato, è stata proposta una riduzione dell’indennità di carica del Rettore del 20%, avanzando l’idea di azzerarla per tutti i membri degli organi di governance. La proposta mirava a dare un segnale di solidarietà e responsabilità nei confronti delle difficoltà finanziarie dell’ateneo. Ovviamente, la proposta è stata bocciata. Non sarebbero morti di fame, sorte che invece toccherà ai dipendenti esternalizzati. L’indennità di carica si somma infatti allo stipendio da docente ordinario, di fatto quasi raddoppiandolo.
Laddove con una stima media di 90.000 euro lordi annui per ogni professore ordinario, si potrebbero garantire quasi 9 addetti alle pulizie, a dimostrazione delle scelte di bilancio orientate a proteggere una classe privilegiata piuttosto che garantire i servizi essenziali.
Mentre l’istruzione dovrebbe essere un pilastro strategico, il quadro dipinto dai tagli è quello di un’università abbandonata a se stessa, incapace di rispondere alle sfide di una società in evoluzione.
Un modello che privilegia pochi a scapito di molti
Mentre la comunità accademica si trova a fare i conti con un futuro incerto, appare chiaro che queste misure favoriscono solo un ristretto gruppo di interessi. La riduzione dell’università pubblica a una struttura minimale è un vantaggio diretto per il settore privato, pronto a capitalizzare sui servizi che il pubblico non è più in grado di offrire.
Questo è il punto cruciale: il pubblico investe e si sacrifica, mentre il privato raccoglie i frutti. Secondo i dati di bilancio, circa il 24% dei fondi pubblici per la ricerca viene destinato a progetti cofinanziati con aziende private, molti dei quali concepiti per favorire lo sviluppo di tecnologie direttamente utilizzabili nel mercato.
Ci saranno stati dei tagli alla voce “Technology Transfer” (trasferimento tecnologico), che favorisce la collaborazione tra ricerca accademica e industria? A quanti milioni ammonta questa voce di bilancio? A vantaggio di chi?
Una parte significativa dei fondi per la creazione di spin-off accademici è finalizzata a tradurre la ricerca pubblica in prodotti e servizi vendibili, dalle aziende private che beneficiano in modo diretto delle innovazioni generate. Nel 2023, oltre 6 milioni di euro derivanti da finanziamenti pubblici sono stati investiti in progetti mirati a collaborazioni con il settore privato, senza un ritorno immediato proporzionato per il sistema universitario.
Molti degli spin-off dell’Università di Pisa collaborano e hanno partnership e sbocco di vendita con aziende nel settore della difesa, della sicurezza e delle tecnologie avanzate. In soldoni, l’industria bellica. Non ci dimentichiamo infatti delle dichiarazioni del rettore e parte del suo entourage “di sinistra” che gridava allo scandalo e alla violenza per le occupazioni studentesche della Sapienza, per far recidere gli accordi diretti che Unipi ha con Leonardo SPA.
Piove sul bagnato
A pagare il prezzo più alto sono i soggetti costretti “in fondo alle piramide universitaria: chi lavora con contratti precari o in part-time involontario, student* che vedono ridursi i servizi essenziali, e una comunità accademica che viene progressivamente svuotata del suo ruolo critico e formativo.
L’istruzione e la conoscenza non possono essere considerate una spesa superflua da tagliare in nome di un’economia di guerra, devono essere il fondamento di una società equa. Chi è nelle posizioni apicali delle istituzioni formative sta strappando le risorse indispensabili alla riproduzione della collettività universitaria. Che lo faccia con i guanti e non con il manganello non ne muta il senso. La mobilitazione contro questi tagli non è solo per l’università, è una battaglia per il futuro di tutti noi.