Ieri pomeriggio tantissime persone con i carrelli della spesa vuoti si sono ritrovate per la terza volta in un mese, dopo Esselunga, Conad e Pam, al supermercato Carrefour di Pisa. Come nelle altre proteste delle scorse settimane, anche a questa catena della (GDO) Grande Distribuzione Organizzata è stato chiesto di contribuire, con una parte dei loro miliardari guadagni, ad aiutare le persone che hanno perso il lavoro o che non riescono più a fare la spesa a causa della diminuzione del reddito. Nel 2019 il Carrefour ha guadagnato 78,9 miliardi di euro, con i suoi 12300 punti vendita. Una quantità di soldi incredibile se viene confrontata con il reddito medio di una famiglia.
Circa cento persone si sono messe ordinatamente con i carrelli nella fila unica del supermercato per recarsi alle casse. I carrelli sono vuoti, sempre, proprio a significare la difficoltà di fare la spesa. Soldi non ce ne sono. Una persona alla volta sono passati aldilà delle casse e il gruppo ha rigirato i carrelli in terra nel corridoio e distribuito i volantini della protesta ai clienti e a chi stava lavorando in quel momento. Molte persone hanno sostenuto le parole scandite al megafono di chi ha raccontato la propria storia. Per “storie” si intende come è peggiorata la vita durante e dopo la quarantena, sono racconti di chi non si vergogna più a tenersi i problemi nelle proprie case. “Ci hanno sempre fatto credere che se non ce la facciamo a campare bene è per colpa nostra ma la crisi che stiamo vivendo oggi ha fatto scoprire una realtà diversa, ha messo alla luce i responsabili del nostro impoverimento!”.
Ma chi sono queste persone che protestano tutte le settimane ai supermercati? Durante la quarantena, nonostante la retorica dell’ “andrà tutto bene”, tantissime persone non sono state con le mani in tasca a sperare aiuti dal cielo, o dal governo. Milioni di persone hanno dovuto abbandonare il lavoro ed è stato messo forzatamente in cassa integrazione senza ricevere sussidi e nessun aiuto. Sono quadruplicate le famiglie che hanno smesso di pagare affitti e bollette. Chi lavorava stagionalmente ha perso la possibilità di essere richiamato a lavoro. Chi ha delle piccole attività sta ancora arrancando per recuperare gli stipendi persi in questi mesi.
Per far fronte a questa crisi, tante volontarie e volontari nella nostra città si sono rimboccate le maniche e hanno allestito tre centri di raccolta e distribuzione alimentare in tre quartieri della nostra città. In Sant’Ermete, Gagno e La Fontina, da quattro mesi circa, 150 famiglie, 400 persone, hanno potuto una volta a settimana prendere il proprio pacco alimentare, composto da beni di prima necessità acquistati negli stessi supermercati dove oggi si protesta. Tantissime verdure e frutta vengono donate tutte le settimane dai contadini della provincia che stanno contribuendo con generosità alla causa, avendo capito la validità dell’iniziativa che tende non solo a recuperare cibo qualsiasi, ma viene messa in discussione anche la qualità del cibo stesso.
Chi protesta ai supermercati sono chi si impegna gratuitamente per poter dare settimanalmente il pacco alimentare alle persone che hanno bisogno e chi beneficia delle donazioni. Chi organizza la distribuzione alimentare ha a sua volta bisogno della busta della spesa. Non ci sono privilegi di nessun tipo.
Quali sono i motivi della protesta? Alla GDO vengono chieste tre cose banali quanto giuste ma rivoluzionarie. Lo spreco alimentare è una cosa risaputa. Chi ha lavorato in un supermercato lo sa bene che dietro, nei compattatori, la sera vengono buttate tonnellate di cibo in scadenza. L’invenduto viene cestinato piuttosto che donato. L’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità è sotto gli occhi di tutti. Non siamo fessi. Possono pubblicizzare quanto vogliono le loro promozioni ma se si scava a fondo e si risale la filiera produttiva si scopre che un sacchetto di mandarini che acquistiamo a 2,90 euro loro lo pagano 0,45 centesimi. La differenza è il loro guadagno e il nostro sfruttamento. I 400 milioni di euro che il governo ha REGALATO ai supermercati durante la quarantena sono uno schiaffo ai poveri. Questi soldi per “aiutare la gente in difficoltà” non sono minimamente bastati per tutti e chi ci ha guadagnato sono stati solo i supermercati.
Va da sè che una persona poi si incazza quando viene a sapere di tutto questo schifo. E accade molto semplicemente che da un mese, quando giustamente le donazioni delle persone che hanno contribuito economicamente fin ora per la raccolta alimentare diminuiscono, inizia lo sciopero dei consumatori al supermercato. Solitamente a fare la spesa si va di fretta, si compra quel che ci si può permettere, si confrontano i prezzi e si mette nel cestino il prodotto che costa meno. Spesso costare meno significa anche minor qualità. Si accetta di mangiare peggio, ma comunque mangiare. E ci si è fatta l’abitudine. Quello che accade oggi durante le proteste dei “carrelli vuoti” è lo stravolgimento dell’attività di andare al supermercato. Si prende il carrello, si gira tra gli scaffali ma non si prende nulla. Si va alla cassa e si chiede di parlare col direttore per dire che non si è d’accordo su come funziona questo sistema marcio di spreco e di approfittamento. Poi si spiega a tutti i presenti i motivi della protesta.
Questo è ciò che sta accadendo a Pisa durante e dopo la quarantena del corona virus. Gli effetti di questa crisi stanno facendo nascere nuove relazioni tra le persone e nuove critiche al sistema di sfruttamento della filiera alimentare. Ma sta nascendo anche una nuova solidarietà, fatta alla pari. Chi ha qualcosa lo mette a disposizione degli altri, che può essere il proprio tempo messo a disposizione ai centri raccolta nel quartiere così come una cesta di pomodori.
In fondo, se siamo costretti ad andare a fare la spesa per sopravvivere, perchè non dovremmo avere il diritto di mettere bocca sui prezzi, sul cibo buttato e sui guadagni miliardari delle grandi catene?