Come redazione di Riscatto Pisa condividiamo il reportage che abbiamo portato avanti negli ultimi mesi con lə studentə protagonistə delle lotte di questo autunno nelle scuole pisane, in vista dell’assemblea nazionale del 5 Febbraio a Roma “Ci riprendiamo quello che ci avete tolto”. L’urgenza di condividere queste auto-inchieste e queste riflessioni, maturate dentro e a partire dalle lotte, si rende ancor più forte alla luce dei fatti recenti. La morte di Lorenzo Parelli, studente udinese, durante l’alternanza scuola-lavoro, manifesta in modo decisivo ciò che in questo autunno lə studentə hanno portato con rabbia nei corridoi scolastici e nelle strade di tutta Italia: l’incompatibilità di questo sistema scolastico con una vita che non sia di sfruttamento e manipolazione, in tutti i suoi aspetti, fino a quelli più drammatici. Chi non vuole mentire a sè stessə, sa benissimo che ciò che è accaduto non è casualità o incidente, ma assassinio e che non è un fatto separabile da tutte le rivendicazioni avanzate in questi anni e nel presente. La risposta dello Stato alla doverosa rabbia di giovani e studentə alla morte di Lorenzo, fatta di cariche, manifestazioni negate e teste spaccate, è stata l’espressione della stessa violenza che si riversa nei vari livelli della formazione, fino all’abominio dell’alternanza scuola-lavoro, e che in questo reportage è narrata con le parole e le idee di chi la conosce sulla propria vita e vi si oppone. Non c’è molto da aggiungere, se non che non è più tempo per mediazioni e finte soluzioni, ma solo per la lotta coraggiosa e determinata che si sta dando in tutta Italia e che promette di essere ancora più forte!
Questo autunno la città di Pisa ha visto lə studentə delle scuole tornare a lottare, in continuità con anni di mobilitazioni e occupazioni. Già dal 2018 si sono ripetute occasioni di lotta e il movimento è cresciuto sempre di più, nelle pratiche, nella partecipazione e nelle rivendicazioni. Centinaia di studentə hanno partecipato alle manifestazioni e al centro sono posti sia problemi storici (spazi, ricatto del voto, didattica frontale, strutture malfunzionanti), sia problemi “nuovi” (violenza di genere, disagio generale di tantə studentə, episodi di razzismo e discriminazione, alternanza scuola lavoro…).
Questo perché sono aumentate consapevolezza e voglia di lottare, quindi di porre contraddizioni, ma anche per l’aggravarsi di questi problemi durante la pandemia. Questa aumentata consapevolezza deriva proprio dall’acuirsi dei problemi e dal disagio che si vive
quotidianamente a scuola. La situazione è così esasperata che tantissimə studentə hanno deciso di attivarsi, perché troppe gocce hanno fatto traboccare il vaso. Per esempio il muro di fronte alla richiesta di attivare un percorso burocratico per una carriera Alias per uno studente transgender, scelta motivata per la presunta “impreparazione” del corpo docenti; la crisi del problema spazi rispetto al contenimento della pandemia; termosifoni che non funzionano in pieno inverno, con presidi che decidono di ignorare il problema e lasciare la scuola aperta. Per non parlare della violenta repressione di alcune occupazioni da parte della polizia, che ha sfondato una finestra per entrare e sgomberare, mentre i presidi trattenevano alcunə studentə maggiorenni contro la loro
volontà, con minacce e intimidazioni.
In questo articolo ci focalizziamo su una scuola, il Liceo Buonarroti di Pisa, che nel corso di questo autunno, ha attraversato diversi momenti di lotta: presidi, blocchi stradali, cortei e, infine, un’occupazione di una settimana. Le ragioni principali di un gesto che moltə reputano “estremo” riguardano essenzialmente la didattica, il bisogno di avere autonomia, potersi prendere cura degli spazi, vivere la scuola in modo diverso. Lə studentə hanno deciso di creare uno spazio dove discutere e organizzarsi rispetto ai problemi della scuola, rendendo più facile e orizzontale la partecipazione di tuttə e condividere disagi, bisogni e desideri comuni. Uno degli obiettivi è stato scoprire il proprio rapporto con la scuola, perché molto spesso la si vive male, e avere modo e spazio di approfondire questo malessere al fine di coglierlo alla radice e così sradicarlo e trasformarlo.
Un’altra delle ragioni è stato lo scarso riscontro della Provincia sul problema spazi: mancanza di 17 aule con conseguente cambio di orario; problema dei trasporti, per cui molte persone sono costrette a prendere corse più tardi, arrivando a casa in tempi molto lunghi,
anche alle 15, sfalsando completamente l’ora di pranzo; storici problemi strutturali, oggetto di molte proteste negli anni, come riscaldamenti che funzionano male o non funzionano, muri molto sottili che non consentono di seguire la lezione, materiali e strutture decadenti assolutamente non in sicurezza; assenza in molti bagni di tavolette o porte che si chiudono.
Nelle parti che seguono, a partire dalla condivisione di momenti di confronto con lə studentə, proviamo a raccontare una giornata tipo a scuola e una in occupazione, attraverso le voci, e l’autonarrazione delle persone che le hanno vissute. Ascoltando le esperienze e le parole di chi ha vissuto questi momenti si comprende come sia forte un bisogno di autonomia e di creazione di spazi, relazioni, tempi, attività differenti: una scuola costruita a misura di chi la vive quotidianamente, in un’occupazione che non è una semplice vertenza o la reazione rabbiosa alla sofferenza che si vive a scuola, ma un momento di ribellione positivo, per pensare modi nuovi dello stare insieme e del formarsi.
UNA GIORNATA DI SCUOLA
“Oggi interrogazione di scienze, domani compito di matematica e interrogazione di italiano. Tavole arretrate di arte da consegnare. Ho preso un caffè ma mi sto addormentando sul banco e come se non bastasse in classe si gela. Se solo si riuscisse a trovare un metodo per vivere la scuola senza ansie.”
La scuola è quel luogo dove ogni valutazione corrisponde ad un giudizio, non a caso spesso questa è accompagnata da una nota chiamata giudizio sintetico, che dovrebbe essere la spiegazione dell’insegnante riguardante il voto assegnato, e che viene sempre lasciata in bianco.
Non vogliamo essere giudicatə senza avere delle spiegazioni, anzi non vogliamo essere giudicatə affatto. Perché non contemplare una scuola libera dall’ansia di ricevere un giudizio negativo e invece valorizzare lə studentə come persone?
“Il prof è entrato in classe e tutti sono ammutoliti. Abbiamo paura di parlare, di sbagliare, ma la scuola dovrebbe essere invece uno stimolo, dovrebbe piacerci imparare.”
Non abbiamo mai voglia di fare lavori inerenti alla scuola perché ci costringono a dare meno valore a ciò che ci piace davvero ed a sacrificare le nostre passioni a favore di uno studio puramente nozionistico. Costantemente sentiamo ripetere che il voto non ha importanza, ma non è davvero così che stanno le cose: la scuola è ossessionata dalle valutazioni. Lə docentə le ritengono una parte imprescindibile dell’insegnamento e per questo lə studentə si trovano costrettə a vivere l’ansia del voto e a fare di quello il loro primario obbiettivo mettendo da parte le vere esperienze formative.
“Se un ragazzo prende otto o nove al primo compito allora è degno del rispetto dell’insegnante, ma una persona non si può caratterizzare in base al voto. A volte vorrei che venisse rivoluzionato il sistema valutativo”
“Quei professori che ti dicono che il voto non è importante, sono poi gli stessi che impazziscono quando non hanno valutazioni”. Questo meccanismo ci pone davanti ad una costante scelta forzata tra il mantenere alta la nostra media e il mantenere intatta la nostra salute mentale. “Metto in secondo piano la scuola per vivere meglio, così prendo voti più bassi ma sono più felice, sono più sereno. Non me ne frega niente del voto voglio vivere la mia vita.”
L’interesse verso il voto surclassa totalmente quello per le materie e per come vengono trattate, sia per docenti che per studentə; andando a scuola, ci rendiamo sempre più conto che, per come è strutturata, non ci insegna niente di utile e che propone sempre argomenti in modo superficiale e di facciata. L’esempio più eclatante è l’educazione civica, trattata solo da alcunə professorə, nella maggior parte dei casi con l’unico obiettivo di riempire delle ore e di ottenere ulteriori valutazioni. Quasi nessunə prende sul serio l’educazione civica nè la tratta come dovrebbe: finisce per essere non solo inutile, ma carico di lavoro, ansia, voti in più.
“Si pensa più alla parte tecnica e ai voti che al concetto in sè”, al trasmettere qualcosa.
“Ci sono professori bravi, che passano il concetto, ma anche loro hanno i loro lati negativi, perché creano un ambiente di terrore”.
Non è sufficiente fare educazione civica, affinché vengano meno il terrore del voto, i rapporti di potere e il disagio che lə studentə vivono anche per tutte le altre materie; forzare a imparare questioni “importanti” e interessanti con mezzi violenti o coercitivi, imponendo i temi come nozioni da assimilare, è lo stesso meccanismo di potere che troviamo per tutte le altre materie tra lə professorə che impone il suo sapere e lə studentə.
Nel sistema scuola non può esistere un’educazione civica insegnata bene, perché ciò implicherebbe che tuttə lə docenti la trattino in modo adeguato e che mettano in discussione il sistema stesso. Non valgono singoli casi particolari di insegnamento virtuoso che proprio in quanto tali rimangono isolati e non cambiano il sistema scolastico. Non c’è omogeneità di approcci, metodi, temi e non c’è messa in discussione dellə professorə nell’esercitare questa materia. L’educazione civica replica ciò che lə prof sanno già fare, ossia lezioni frontali, nozionistiche e piegate alla valutazione.
I temi di educazione civica “non ti aiutano a sviluppare un pensiero, ti aiutano a fare un compito”.
Temi di attualità, vicini ai bisogni studenteschi (violenza di genere, crisi climatica, critica della scuola stessa) di rado vengono fuori e se vengono fuori sono liquidati con banalità, senza entrare nel vivo dei problemi e come questi abbiano a che fare con ogni aspetto della nostra vita. In ogni caso, molto più spesso, questi temi sono etichettati come tabù, impedendo ogni tipo di dialogo.
Abbiamo bisogno di una scuola che ci permetta di costruire rapporti e connessioni che per noi sono il suo aspetto più importante, siamo circondati da nostri coetanei ma non abbiamo spazi e tempo necessari per relazionarci; ci riusciamo solo nelle nostre dimensioni, come nelle assemblee esterne all’orario scolastico, le stesse che poi danno vita alle occupazioni; queste, se menzionate in classe, diventano subito dei tabù, e allora nasce il bisogno dell’occupazione come unico spazio di condivisione. Solo un’azione del genere crea quel rapporto che consente di ottenere dei cambiamenti, rispetto a un’incapacità di ascolto dell’istituzione scolastica. E’ una messa in discussione radicale. Per questo l’occupazione stessa è un tabù.
UNA GIORNATA DI OCCUPAZIONE
“In occupazione abbiamo avuto modo di prendere decisioni insieme e capire il pensiero dellə altrə. Il confronto con il pensiero dellə altrə è fondamentale per ampliare il proprio. All’occupazione la scuola è tua, si prendono decisioni insieme. Se la scuola non ci dà i valori, ce li prendiamo da noi.”
Fin dal momento in cui sono circolate voci sulla volontà di occupare, lə professorə hanno iniziato ad intimidirci, elencando tutte le conseguenze a cui saremmo andatə incontro e sminuendo le nostre ragioni.
“I professori hanno espresso fin da subito il loro dissenso, dandoci dei vandali…creando una situazione tragicomica. Io sono sempre stato favorevole all’occupazione: un gesto forte che facciamo perché siamo con le spalle al muro ed è l’unica via di fuga. L’abbiamo fatta lo stesso, nonostante le intimidazioni dei prof”.
La volontà di occupare è stata condivisa da tuttə lə studentə della scuola. Abbiamo voluto evitare una mera votazione in cui le persone non possono esprimere le proprie opinioni, favorevoli e contrarie che siano, dovendosi limitare a dire sì o no. A partire dalla spinta dellə rappresentanti di classe abbiamo svolto delle assemblee aperte dove ci siamo confrontatə e abbiamo dibattuto sul da farsi.
“Stiamo cercando di far sì che tutti abbiano voce in capitolo, perché anche in occupazione molti si astengono dal parlare. Invece dovremmo avere tutti l’interesse di intervenire, ma è presente in tanti la difficoltà ad esprimersi…”
Dall’assemblea generale sono emerse da parte dellə studentə tantissime ragioni per occupare, che sono state riportate nei manifesti: sterilità delle lezioni frontali, programmi obsoleti, incapacità di far sviluppare un pensiero critico, sistema di valutazione usato come ricatto e per creare competizione, problemi di edilizia scolastica rimasti senza risposta dopo le richieste fatte alle istituzioni.
Il primo giorno di occupazione abbiamo fatto un’altra assemblea in cui ne abbiamo organizzato la gestione, preoccupandoci di evitare situazioni caotiche o eventuali danni alla nostra scuola. Fin da subito è stata allestita una turnazione per il servizio d’ordine interno. “Ho scelto di privarmi della mia tranquillità, delle mie ore di sonno per stare a scuola giorno e notte durante l’occupazione. Ci tengo alla mia scuola”. Occupare significa avere cura degli spazi che frequentiamo ogni giorno, ribaltare la realtà e smettere di vederli come ostili. In questo modo ci sentiamo di più parte della scuola, più spronati a fare le cose: “questa occupazione mi ha formato come persona, partecipare all’assemblea riesce a valorizzarti”.
Durante le giornate di occupazione abbiamo svolto molte attività che ci hanno dato spunti importanti. Ad esempio, il secondo giorno abbiamo invitato “Non una di meno” Pisa, con cui abbiamo avuto uno stimolante confronto sul tema della questione di genere.
“L’incontro con “Non una di meno” è stato bellissimo ed emozionante: non è stata solo informazione, ma è emerso il lato personale, a differenza di ciò che avviene a scuola”, dove le questioni di genere non sono mai trattate e quindi non viene contemplato neanche nessun tipo di educazione all’affettività. La sfera personale è ignorata e repressa e qualunque tipo di condivisione essendo motivo di vergogna è trattata come l’ennesimo tabù.
Il venerdì abbiamo svolto un laboratorio di serigrafia, estremamente istruttivo, perché siamo abituatə ad una separazione netta tra nozioni e agire pratico, e le nostre capacità manuali a scuola non sono sufficientemente sviluppate anche a causa della mancanza di spazi.
L’occupazione si è svolta regolarmente, con i suoi momenti più tranquilli e con quelli di tensione. Ci ha permesso di “imparare il valore dei progetti comuni”, metterci in gioco in prima persona e sperimentare un diverso modo di stare insieme. “Abbiamo compreso come le cose accadono nel concreto e questo ci aiuta ad avere un’opinione più strutturata”.
Occupare non è stata solo una protesta, ma la proposta di un’alternativa concreta e un nuovo spazio di immaginazione: “sentiamo il bisogno di sviluppare degli ideali. Da una scuola così crescono persone tristi. Sapere che forse l’occupazione avrà effetti anche sulle future generazioni della scuola ci incoraggia a continuare ad impegnarci”.