Alla fine è successo, a Renzi e alla sua cricca è stato presentato il conto. Col voto delle ultime politiche non è chiaro chi abbia vinto, ma certamente il principale sconfitto è il Partito Democratico.
Il tracollo del partito di governo è il punto di arrivo di una parabola che ha visto negli ultimi anni approvare ogni sorta di macelleria sociale, dal Jobs Act alla Buona Scuola, passando per il Piano Casa e i decreti salva-banche.
Se un Matteo ha ricevuto il benservito, l’altro Matteo ha invece moltiplicato i consensi, riuscendo a descriversi come un elemento di novità. In realtà Salvini appartiene in tutto e per tutto alla vecchia classe politica, quella del suo alleato Berlusconi, che ha portato l’Italia al tracollo. Ma con un’abile campagna elettorale, basata per lo più su menzogne e strumentalizzazioni, è stato capace di raccogliere voti anche negli strati più delusi e esasperati del paese.
Anche se è impossibile vedere un vero e proprio vincitore delle elezioni politche, un segnale chiaro espresso da questo voto è quello economico: è stato punito chi ha promosso l’austerità, è stato premiato chi ha promesso forme di reddito. Il nodo dell’erogazione di reddito sarà centrale nei prossimi mesi, e dovrà divenire centrale anche nelle lotte, per evitare che rimanga l’ennesima promessa disattesa, o peggio una nuova forma di ricatto e sfruttamento.
Ma dalle nostre parti la campagna elettorale non è ancora terminata. Appena il tempo di incassare il colpo delle politiche, che si è riaperto il parapiglia in vista delle amministrative. E forse per la prima volta, anche a Pisa, il PD non si sente più così sicuro di vincere come in passato.
Il Partito Democratico nella nostra città ha delle enormi responsabilità e per nasconderle non basteranno la propaganda spicciola degli ultimi minuti, i cantieri stradali che spuntano come funghi in ogni via, qualche inaugurazione e lo sforzo titanico per dare il via libera allo stadio nuovo.
E’ un partito, quello di Filippeschi, che nell’ultimo decennio ha completamente consegnato la città alla speculazione, sorvolando sui debiti milionari, sulle tasse evase e sulle fidejussioni fasulle dei grandi costruttori.
Che ha completamente abbandonato le periferie, investite solo da parole e promesse, ma dove la manutenzione ordinaria latita e i soldi stanziati per i progetti di riqualificazione svaniscono nel nulla; la ricostruzione delle case popolari di Sant’Ermete è ormai completamente arenata, in ritardo di anni sul progetto, ma nel contempo sono sufficienti pochi mesi e tanti milioni di euro di soldi pubblici per realizzare lo scempio del People Mover, grande opera che nessuno usa.
Un partito che ha dismesso ogni forma di diritto sociale, tutelando solo gli interessi padronali; un mercato del lavoro dato in pasto ad aziende e multinazionali a cui è stato permesso fare il bello e il cattivo tempo, che ora lasciano a casa centinaia di lavoratori senza accettare alcuna trattativa. Emergenza abitativa galoppante, dove a trarne profitto sono solo i grandi proprietari. Sussidi e integrazioni di reddito per le famiglie meno abbienti completamente smantellati, e appaltati alla discrezionalità del terzo settore cattolico; sanità pubblica devastata e inaccessibile a beneficio di quella privata; spazi sociali sgomberati con violenza.
Molta di questa insofferenza probabilmente troverà sfogo in un voto verso la destra e la Lega di Salvini. Ma basterebbe uno sguardo ai territori e alle città amministrate da questi soggetti per capire che PD e destra son fatti della stessa pasta: gli stessi regali ai costruttori e alle banche, le stesse promesse disattese, lo stesso impoverimento sociale per tutelare solo gli interessi dei più ricchi.
C’è una parte di città, invece, che continua a opporsi a queste derive, rifiutando sia la ricetta dell’austerity del PD, sia quella della guerra fra poveri della Lega. E’ quel pezzo di società che è sceso in piazza tempo fa contro la venuta di Renzi al CNR ed è tornato a manifestare contro il comizio di Salvini in Piazza Vittorio Emanuele, incurante dei divieti polizieschi e delle manganellate; per testimoniare e praticare una sfiducia dal basso verso una classe politica trasversale che può garantirci solo miseria e povertà.
E’ una parte di città ancora disorganizzata e insufficiente, ma che si può incontrare ormai quasi quotidianamente nei picchetti anti-sfratto, nelle lotte femministe, negli scioperi, nella cooperazione sociale dei quartieri popolari, negli spazi autogestiti di sport e socialità popolare.
Chiunque vinca le elezioni amministrative, dovrà fare i conti con questo tipo di tessuto sociale, capace di immaginare e praticare dei modi di vivere e delle relazioni diverse dalla miseria e dallo squallore a cui vorrebbero relegarci. Chiunque si accaparri la poltrona dovrà tenere in considerazione che il nostro voto di sfiducia non si manifesterà in un giorno nelle urne, ma nelle piazze e nelle strade per i prossimi cinque anni.